“Erano i primi biliardini con le sagome in legno.
Io alla difesa e Marcello all’attacco eravamo una coppia
d’acciaio.
Il locale era frequentato da molti ragazzi ma a quell’ora prevalentemente
da muratori in pausa pranzo.
Muratori con la faccia da muratori, le mani da muratori, atteggiamento
da muratori, copricapo a barchetta rovesciata di foglio
di giornale, alla Ladri di biciclette, per intenderci.
Tipi con i quali si poteva solo giocare, scambiare quattro chiacchiere
era difficoltoso e rischioso, erano molto più grandi di noi.
Parlavamo lingue diverse, da parte loro solo grugniti, grugniti
abruzzesi, per giunta.
La coppia che sfidavamo era già lì, pronta.
Il primo, basso e tozzo, Giuvann’, un uomo quadrato, restava
in canotta pure se fuori nevicava, era caloroso, soprattutto dopo
essersi fatto mezzo filoncino di pane croccante tipo baguette con
mortadella e provolone piccante o porchetta, a volte ventricina e
provolone, sempre piccante, vino rosso a volontà.
L‘altro, mingherlino alto-alto, Pasqualino, tirava sempre su col
naso, ci teneva al suo cappellino di carta che portava maliziosamente
a tre quarti come le bustine dei militari, e ogni gol che subiva
si passava velocemente un dito sotto il naso con espressione
stupita, a voler dire “Porca madosca, questa non me l’aspettavo!”
a detergere velocemente, quasi un tic, il sudore che non c’era.
Tra i due, il mingherlino era quello che faceva meno paura, diciamo
che lui era l’intellettuale, l’altro invece era tutto un ringhio,
una specie di doberman fatto uomo e beveva troppo, a mio
parere.
Quel giorno mi permisi di dirgli, a mezza bocca, che il vino
forse poteva rallentare i riflessi.
Lui mi guardò di traverso muovendo le froge del naso piatto
sformato.
«Fatt’li cazza te’!» mi gelò e quella volta fui io a tirar su col
naso.
“’Azz!” pensai.
Marcello ci mise il carico dandomi di gomito.
«Ha ragione, fatti i cazzi tuoi!»
Diventai rosso come un peperone e quando il tozzo si mosse,
arretrai di scatto, per paura di un manrovescio, ma mi ero sbagliato.
Il doberman si rivolse al mio amico:
«Non ci sta abbisogno che tu mi aiuti, sei capit’?» gli mugugnò
con le labbrone lucide dell’ultima sorsata di vino.
«Ma io…» farfugliò Marcello che invece voleva solo ingraziarselo
e l’altro bloccandolo con una piega amara di rivincita:
«Zitto e joca!»
(Continua)
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