di Vincenzo Iurillo per Il FQ, 4-8-19
Premessa: venerdì alle 21.51 Matteo Renzi ha messo in rete questo tweet.
“Ieri mentre su La7 discutevano di Salvini, #Motodacqua, insulti ai giornalisti, l’ex direttore del Fatto Padellaro ha tirato in ballo me. Sono ossessionati. Per me è diffamazione, ci vediamo in tribunale #AzioneCivile”.
Seconda premessa: anche Renzi, quando annuncia un’iniziativa legale infondata contro il fondatore del nostro giornale, colpevole di averne pronunciato invano il nome nel contesto delle sguaiate esternazioni di Matteo Salvini sullo scoop del videomaker di Repubblica, compie un’intimidazione alla stampa.
Forse meno grave delle pesanti allusioni del ministro del Papeete Beach su Valerio Lo Muzio, autore dello scoop sul rampollo 16enne del vicepremier in sella alla moto d’acqua della polizia, “che vada a filmare i bambini in spiaggia, che le piace tanto”.
Anche se in questa storia ciò che spaventa davvero è la polizia ridotta a security privata del capo del Viminale, l’agente in bermuda che si fa consegnare i documenti di Lo Muzio e poi gli sibila “adesso sappiamo dove abiti”.
PERÒ SE L’ANNUNCIO di citazione in giudizio proviene dal Matteo toscano, offeso per essere stato accostato all’omonimo lumbard, allora corre l’obbligo di ricordare che Renzi vanta un ricco curriculum di minacce, denigrazioni e insulti a cronisti e testate.
Al confronto del quale persino Silvio Berlusconi, le sue epurazioni bulgare, e il gesto del mitra alla giornalista russa, potrebbe accreditarsi come strenuo difensore dell’articolo 21. Renzi, ovviamente, nutre una predilezione per il Fatto quotidiano.
In noi è vivo il ricordo della Leopolda 2015. Quando la platea dem fu aizzata contro “la top 11 delle balle del governo Renzi”, ed invitata a votare contro “il peggior titolo di giornale”.
Tra le 16 prime pagine messe alla gogna, 11 erano nostre, grazie.
Peraltro Renzi è gentile se ci cita col nome giusto. Quando gli salta la mosca al naso, diventiamo per lui “Il Falso Quotidiano”.
Il calembour fu coniato nell’aprile 2017 al culmine del caso Consip.
L’ex premier era ebbro di entusiasmo per le notizie sul maggiore del Noe Gianpaolo Scafarto accusato di aver taroccato alcune intercettazioni per aggravare la posizione di Babbo Renzi, e per sillogismo i falsificatori erano anche chi le aveva scoperte e pubblicate. Renzi junior e i suoi corifei gridarono al complotto, ricordate?
Due anni dopo siamo qui con Scafarto imputato in udienza preliminare, ma riabilitato dal Riesame e dalla Cassazione, e la richiesta di archiviazione di Tiziano Renzi respinta dal Gip di Roma.
Non siamo gli unici ad aver goduto delle attenzioni di Renzi.
Ne sa qualcosa Alessandro Sallusti. Intervistato nel febbraio 2016 a Un giorno da Pecora, il direttore de Il Giornale rivelò un aneddoto: “Con Renzi avevo un ottimo rapporto, quasi confidenziale. Poi abbiamo scritto una cosa che non gli piaceva, mi ha chiamato, mi ha riempito di insulti e mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa a spaccarmi le gambe”.
UN PAIO DI ANNI dopo ricorderà la vicenda in un’intervista al programma La Confessione di Peter Gomez.
E solo allora si manifesterà, a scoppio ritardato, la minaccia di querela dell’ex segretario del Pd. Ma il culmine della tracotanza di Renzi contro la stampa rimane la sfuriata contro il giornalista del Corriere della Sera Marco Galluzzo, inviato a seguirne le ferie in un albergo di Forte dei Marmi.
Quando il collega, che aveva preso una stanza nello stesso hotel, si avvicina al premier per salutarlo, ne riceve una sequela di urla e invettive.
Poi un uomo che si qualifica “dei servizi” andrà a bussare alla porta di Galluzzo per dirgli: “So chi sei, so chi è tua moglie e chi la tua amante”.
Roba da far impallidire lo zelante poliziotto del Papeete.