Luciano Odorisio, Politica

Travaglio: Moscovici e Renzi fra “piccoli Mussolini” e “cialtroni”

Marco Travaglio
“Chi può e chi non può”

Per semplificarci la vita, le sentinelle del Nuovo Galateo del Perfetto Democratico appostate nei giornaloni dovrebbero stilare un breve elenco delle parole che si possono usare, di quelle che non si possono usare e soprattutto di coloro che possono usare tutte le parole che vogliono.

Così, per saperci regolare.

Ieri, per esempio, monsieur Pierre Moscovici, nostro nuovo maestro di vita, dopo averci dato degli “xenofobi” e accusati di eleggere “piccoli Mussolini” solo perché non votiamo come vorrebbe lui, ci spiega che tirare fuori una scarpa e poggiarla sui suoi sacri testi è l’anticamera del fascismo.

Ce l’ha con un eurodeputato leghista, tal Ciocca, in vena di dannunzianesimo all’amatriciana, anzi alla cassoela, reo di aver simbolicamente calpestato i fogli della sua relazione che bocciava la manovra economica del governo Conte: “All’inizio si sorride e si banalizza perché è ridicolo, poi ci si abitua a una sorda violenza simbolica e un giorno ci si risveglia con il fascismo. Restiamo vigili. La democrazia è un tesoro fragile”.

Così fragile da consentire a una salma ambulante, rappresentante di un partito (quello socialista francese) che vale il 5% di continuare a dare lezioni a un intero continente, di anticipare verdetti su leggi non ancora né lette né scritte, di farsi campagna elettorale alzando il nostro spread.

E naturalmente di tacere sul governo del suo Paese che viola i diritti umani e le leggi internazionali perseguitando donne straniere incinte e mandando nottetempo la Gendarmerie a Claviere a scaricarci i migranti indesiderati (anche minorenni, ma con l’età taroccata sui documenti ufficiali).

Se il Paese cornuto e mazziato dai Moscovici fosse un altro, le autorità competenti protesterebbero, magari ritirerebbero l’ambasciatore, cose così, e i relativi giornali scriverebbero due righe a nome dei cittadini che si sentono lievemente offesi dalle accuse di fascismo e di razzismo perché votano come pare a loro.

In Italia invece, a parte i soliti populisti sovranisti, non protesta nessuno. I giornaloni sono tutti schierati col galletto francese: lui sì che sa far di conto, mica come i nostri peracottari (quando Moscovici era ministro delle Finanze ai tempi di Hollande, la Corte dei conti bocciava regolarmente le sue finanziarie e persino il suo collega del Lavoro lo accusava di trascinare il Paese “alla bancarotta”, infatti per anni la Francia sforò pure il 3%, ma questi sono dettagli).

Ieri, per esempio, Repubblica dedicava un puntuto editoriale alla denuncia del “populismo della scarpa” (quella di Ciocca). Come se l’unico antidoto al sovranismo fosse il gallicanesimo.

Quindi: la scarpa sul testo di Moscovici è fascismo, ergo ha ragione Moscovici a darci dei fascisti perché abbiamo un europarlamentare un po’ svitato che si leva la scarpa.

Se viceversa qualche populista o sovranista italiano s’azzardasse a dare del fascista a Moscovici, diventerebbe automaticamente fascista, scagionando – per il principio di non contraddizione – Moscovici. Tanto varrebbe stabilire che Moscovici è come Virna Lisi nel vecchio carosello della Chlorodont: con quella bocca può dire ciò che vuole. E gli altri no.

Sono fortune che capitano a chi milita dalla parte giusta, cioè nei partiti giusti (quelli in via di estinzione).

Un po’ come Renzi, che nella stessa frase riesce a dare dei “cialtroni” a tutti i ministri del governo Conte e a piagnucolare contro le “campagne d’odio” di chi critica lui. Perché cialtrone non è odio: è amore (erano amore anche le minacce di ripulire il Pd “col lanciafiamme”, di “rottamare” gli avversari interni e di “asfaltare” quelli esterni).

Se invece, puta caso, il babbo fa affarucci col vicino di casa vendendogli un terreno, e uno lo scrive, è odio. E se la Boschi indossa stivali a mezza coscia e una cronista lo scrive, è sessismo (d’ora in poi, al ristorante, niente cosce di pollo, parlando con pardon: solo ali e petti).

Poi c’è chi milita nel partito sbagliato, tipo Grillo. In una pubblica piazza, da libero cittadino e comico tornato in servizio a tempo pieno, dice quel che pensa dei poteri del capo dello Stato, quelli ufficiali e soprattutto quelli ufficiosi, che ne fanno (da Re Giorgio in poi, non prima) una specie di monarca assoluto redivivo, infallibile, intoccabile, innominabile, ineffabile.

Ancora protetto da anticaglie polverose come il vilipendio (tant’è che Bossi rischia la galera non per i 49 milioni rubati dal suo entourage, ma per aver dato del “terùn” a Napolitano).

Apriti cielo!

I parrucconi di ogni ordine e grado strillano come vergini violate: “Grillo attacca Mattarella”, “Nessuno tocchi Mattarella”, (peraltro mai nominato: il discorso di Grillo riguardava la carica, non la persona).

Compresi quelli che, con la controriforma Renzi&Boschi&Verdini volevano stravolgere l’equilibrio dei poteri, inclusi quelli del Colle, con una legge costituzionale, non con un discorso in piazza.

Poi Grillo sbeffeggia gli intellettuali e i politici da talk show che, dice, sembrano malati di autismo o psicopatici perché parlano tra sé e sé o a pochi intimi in idiomi incomprensibili ai più.

Riapriti cielo! “Grillo insulta gli autistici”, “Grillo offende i malati”, “Giù le mani dalla sindrome di Asperger”.

Nessuna protesta invece dagli psicopatici, sempreché non fossero quelli che non avevano capito la frase di Grillo: che non era un insulto ai malati, ma a certi politici e intellettuali.

L’ha spiegato ieri Massimo Fini: se dico che i politici sono sordi e ciechi sui bisogni dei poveri, dubito che si offenderebbero le associazioni dei non vedenti e dei non udenti.

A meno che non ne facciano parte anche i deficienti.

Per capire chi ha offeso chi, basterebbe una famosa barzelletta di Gigi Proietti. “Tutti i laziali sono stronzi”. “Come si permette?”. “Perché, lei è laziale?”. “No, sono stronzo”.

Marco Travaglio FQ 25.10.18

C’era una volta…

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