“Il noto leader europeista Carlo Calenda, balzato ultimamente agli onori della cronaca perché non riusciva ad organizzare una cena e perché non riesce ad organizzare una lista, è comprensibilmente nervoso.
E non per le sue allar- manti condizioni psicofisiche, di cui ieri ha offerto un saggio imperituro postando sui social una raccapricciante foto in déshabillé al bordo di un lago dei cigni con un solo cigno perché gli altri se li era appena mangiati lui.
Ma perché il Fatto osa nominare il suo nome invano, cioè senza il suo permesso.
Ieri, per l’ennesima volta, essendo stato citato di sfuggita (il massimo che merita) da Daniela Ranieri in un pezzo dedicato a Pisapia, se n’è avuto a male.
E, anziché rassegnarsi all’idea di avere almeno un giornale che non gli lecca i piedi e il triplo mento, ha scatenato contro la reproba la consueta mutina di dobermann, rottweiler e barboncini da tastiera.
Con questi alati concetti, tipici dei grandi leader europeisti che mangiano pesante: “La cosa interessante del Fatto e di Daniela Ranieri (la talebana dei talebani) è che decidono pure chi rappresenta qualcosa e chi no. L’apoteosi della protervia. Domanda: ma chi rappresenta e/o legge oggi il Fatto oltre Di Maio, Toninelli e Salvini?” (l’italiano approssimativo è tutto suo); “Finché sono io passi. Ma che la Ranieri accusi la Bonino di no (sic, ndr) rappresentare nessuno… Emma rappre- senta più cose con il suo dito mignolo del piede sinistro che Ranieri, Travaglio e co (ri-sic, ndr) moltiplicati per 1.000”.
Infatti il Fatto, essendo un quotidiano, non si presenta alle elezioni, diversamente da Calenda (trombato nel 2013 e mai più ricandidato) e Bonino (in Parlamento dal 1976, ultimo risultato: 2,5% e zero seggi).
Quindi Calenda & his troll si rassegnino: il sottoscritto, Daniela e chi lo vorrà continueranno a occuparsi di lui sul Fatto ogni volta che lo riterranno opportuno.
Prima e dopo i pasti.”
Marco Travaglio