“Il piano inclinato per estromettere e marginalizzare Renzi dal Pd il più possibile, va avanti – tra passi avanti e passi indietro – da giugno.
Con la regia neanche tanto occulta di Paolo Gentiloni, che ci si è messo di impegno a trasformare le primarie dem nell’occasione giusta per portare a compimento questa operazione.
Tanto che i gazebo dovrebbero assomigliare di più a quelli che incoronarono Romano Prodi leader dell’Unione nel 2005, che a una vera competizione.
IERI La Stampa ha raccontato di un patto tra Nicola Zingaretti e Maurizio Martina, che includerebbe quest’ultimo vice segretario, conferma dei capigruppo e Gentiloni presidente dem.
Gli interessati si sono affrettati a smentire.
Ma se di patto fatto e finito non si può parlare, l’operazione che dovrebbe portare l’ex premier a diventare sia presidente del partito, che candidato premier è in fase avanzata, con il placet di tutti i big. Martina parla di “una donna”.
Ma non si spingerà a votare contro in Assemblea. Poi c’è l’endorse – ment di Marco Minniti per Zingaretti in un ’intervista a Repubblica.
Non male per uno che si sarebbe dovuto candidare contro di lui. Motiva la sua scelta perché “è cruciale” che ci sia “un segretario che superi il 50%”.
“Se non arrivo io al 51%, preferisco che ci arrivi qualcun altro”, aveva detto parlando della sua candidatura a Lucia Annunziata.
E ancora, annunciando il ritiro: “Si è appalesato il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 51%”.
La soglia, questa, necessaria a evitare rivolgimenti in Assemblea. E qui, torna Gentiloni: era il 15 ottobre, quando interveniva all’iniziativa romana di lancio della candidatura di Zingaretti, regalando a Minniti (che stava ancora riflettendo) un ringraziamento per il lavoro fatto nel suo governo.
Un modo per riconoscere entrambi, per spingere ai margini Renzi-Boschi- Lotti.
La corsa dell’ex ministro dell’Interno si è arenata quando gli è stato chiaro che non solo veniva percepito come l’uomo di Renzi, ma anche che l’ex premier non aveva intenzione di sostenerlo davvero, ma di commissariarlo: Lotti doveva essere il responsabile liste.
È sempre Gentiloni che ha mediato il rapporto tra Carlo Calenda e Zingaretti, quello che ha cercato di mettere insieme fronte repubblicano e candidatura del Governatore.
E in tanti hanno firmato, alla ricerca di una vita dopo Renzi: da Dario Nardella a Matteo Ricci, i sindaci che avevano promosso la corsa di Minniti.
A DIMOSTRAZIONE del fatto che il congresso del Pd si gioca nella contrapposizione Gentiloni – Renzi, c’è il fatto che Lotti sta portando le truppe di renziani doc su Roberto Giachetti.
La mozione Martina appare troppo permeabile e composita e si sta prematuramente sfaldando, tra chi è pronto a seguire l’ex segretario e chi si riposiziona.
I risultati di alcuni la dicono lunga: nel circolo di Simona Malpezzi, portavoce della mozione Martina, Pioltello, vince Zingaretti, come in quello di Matteo Mauri, uomo forte in Lombardia.
Nello staff corrono ai ripari, evidenziando un fatto, in realtà incontrovertibile: con tutti questi endorsement a Zingaretti, sono i sostenitori di sinistra ad essere in difficoltà.
E i sogni di Pier Luigi Bersani di rientrare si allontanano sempre di più.
Perché il Governatore, nel diventare l’uomo di tutti, si annacqua.
Il resto si vedrà.
Il margine di vittoria non è secondario per la legittimità del segretario (e per gli esiti delle manovre di Renzi).
E se alle Europee, il fronte guidato dal Pd prende più del 20%, il partito vive.
Sotto, scatta il liberi tutti.”
di Wanda Marra, Il FQ, 29-01-19