Per chi volesse approfondire la figura del “narciso”, è appena uscito il saggio di Giandomenico Crapis dal titolo “Matteo Renzi dal pop al flop”
“Renzi non è più segretario del Pd, ma ha guidato il partito per un periodo quasi ininterrotto di circa 5 anni, diventando il capo che per più tempo ha occupato la cabina di comando.
La sua azione ha lasciato il segno, nel bene e nel male: ha rappresentato un esperimento condotto con il pedale dell’acceleratore sempre pigiato e scontando una conflittualità interna inedita, frutto certo delle caratteristiche innovative del suo comando ma anche di errori politici e del suo temperamento irridente e aggressivo (lo stesso che una sera del 2008 a Canale 10, una tv toscana, lo portò a chiamare l’oncologa Patrizia Gentilini “maga magò”).
Per “personalizzare” il partito Renzi ha percorso due strade:
la prima è stata quella della comunicazione a ogni costo e con qualsiasi mezzo, soprattutto con la televisione (a cui si è dato con voluttà e desiderio).
La seconda è stata quella della trasformazione della sua figura, perseguita attraverso un’accorta presenza sulla scena pop dell’intrattenimento, sui nuovi media e su quelli vecchi, stampa e riviste compresi.
Con Renzi il processo innovativo diventa travolgente, nel senso letterale del termine.
Grazie anche al tratto che più lo ha caratterizzato in questi anni, che è quello dell’eccesso, del troppo, della sproporzione.
Eccesso di movimento,
eccesso di ottimismo,
eccesso di hybris,
eccesso di comunicazione,
eccesso di parola,
eccesso di retorica:
il “di più” è stato consustanziale alla sua figura, sia alla sua ascesa che al suo declino.
Sia il successo delle europee del 2014 che la sconfitta del 4 marzo, entrambi così clamorosi, vanno letti alla luce della forte impronta personale imposta al Pd dal suo segretario.
RENZI può essere descritto ricorrendo alla categoria del popular più che a quella del populismo: punta da subito a fare la star, a diventare un’icona al pari delle celebrities contemporanee.
Ha incarnato alla perfezione il tratto narcisistico della società contemporanea, che i media accentuano a dismisura.
E come spesso accade nelle parabole dei partiti personali, il destino di questi diventa strettamente legato alle fortune dei loro leader.
Lo studioso Mauro Calise ha sottolineato l’incapacità (soprattutto della sinistra) di “fronteggiare, interpretare e assorbire la nuova sfida che i leader impongono alla logica dell’agire collettivo”.
Quanto accaduto lascia infatti spazio per nuove considerazioni sugli effetti collaterali e indesiderati della personalizzazione, nella politica e nei partiti.”
di Giandomenico Crapis