Matteo Renzi è bloccato, si rifugia nel passato.
Nicola Zingaretti è paralizzato, si consola con lo status quo. Aspettando di capire se il governo gialloverde arriverà allo showdown, il Pd sta fermo.
Sulla strada delle scissioni.
Ma pure su quella di un dialogo strutturato con i Cinque Stelle: i canali sotterranei sono aperti (soprattutto con Roberto Fico), ma diventeranno ufficiali nella legislatura che sarà.
PER COMMENTARE la conferenza stampa di Giuseppe Conte, lunedì sera, Matteo Renzi twittava una foto (ormai di ben 4 anni fa, l’8 giugno 2015) che lo ritraeva su una panchina insieme ad Angela Merkel e Barack Obama al G7 di Elmau. Come dire: “Io sì che ero un premier”.
La foto già all’epoca era una sapiente montatura: scattata dall’allora fotografo ufficiale di Palazzo Chigi, Tiberio Barchielli, restituiva a Renzi una centralità che non aveva.
I media presenti all’evento, infatti, rivelavano una realtà diversa: accanto alla panchina c’era una folla di gente.
Quattro anni dopo, riproporre quell’immagine sa tanto di operazione nostalgia. Non solo: rivela uno sguardo al passato e non al futuro. E per di più lo fa con una foto semi-taroccata.
Metafora perfetta per descrivere pure l’operazione Comitati civici. Ieri il Foglio raccontava di iniziative con il vento in poppa, con 900 dei suddetti Comitati operativi. Iniziativa clou?
Quella sulle fake news del 12 luglio, che dovrebbe vedere l’eterno ritorno di Renzi sulla scena. Dato il contesto, suona un po’ ironica. Perché i Comitati sono un format già visto, ma pure una sorta di vetrina per un progetto che stenta a decollare.
Se si va al voto rapidamente, Renzi non è pronto neanche a fare la scissione “consensuale” di cui si favoleggia nei corridoi del Nazareno. Lo spazio per il partito di centro non lo vede e soprattutto deve dividerlo con Carlo Calenda.
Quindi si agita, tra attività di conferenziere in giro per il mondo, sogni di rivalsa, volontà di ribalta. Dall’altra parte, però, trova un’altra debolezza. Nicola Zingaretti, il neo segretario, fa l’inclusivo, si presenta come unitario.
Ci tiene talmente tanto a interpretare questo ruolo che nelle liste delle Europee ha accontentato praticamente tutti. Ora, però, vuole pensarci bene prima di andare avanti con lo stesso film. E infatti, resiste alle pressioni.
ALLA PORTA ha la fila, di gente del Pd e non solo (un’alleanza in vista di elezioni future dovrà pur metterla in piedi). Però, non decide: sono passati 3 mesi dalle primarie e la segreteria ancora non c’è.
Sulla carta, aspetta i ballottaggi. In realtà, è tutto congelato in attesa di capire se si va a votare a settembre, oppure no. Perché lo schema di gioco cambia: serve un gruppo d’attacco oppure uno che ricostruisca? Nessuno lo sa.
Nel frattempo, tutto paralizzato.
Con una notazione: in perenne campagna elettorale, alla Regione Lazio negli ultimi tempi, il governatore lo hanno visto molto poco.
Ma sono tempi confusi, con un partito che stenta a darsi un’identità: ecumenica, di sinistra, di centro?
di Wanda Marra per Il FQ, 5-06-19