“Non invecchieremo mai”, di Luciano Odorisio, Chieti, 2018, edizioni IlViandante.
Note di lettura di Roberto Savoca.
Recensire il libro di un amico potrebbe essere imbarazzante e di certo qualcuno – in casi simili – si sarà trovato di fronte al dilemma tra il rinunciare all’amicizia o all’obbiettività.
Per mia fortuna non è questo il caso.
Intanto, perché non faccio il critico e quindi questa non può dirsi una recensione.
E poi, soprattutto, perché il libro d’esordio di Luciano Odorisio “Non invecchieremomai” mi è piaciuto davvero.
Appartengo a una generazione sia pur di poco successiva a quella del neo-scrittore, per la quale il “passetto“ a biliardino era già stato vietato (come pure il “frullo”) e che di “My Way” ha frequentato più la versione parodistica dei Sex Pistols che non l’originale sinatriano (o forse era di Paul Anka?).
Ciò mi rende generazionalmente immune alle blandizie del come eravamo che potrebbero ammaliare i coetanei dell’autore.
In più, non ho mai vissuto in provincia e la provincia è elemento chiave della poetica e dell’antropologia odorisiana, popolata com’è dai suoi tanti pittoreschi personaggi dalle vicissitudini tragicomiche ma anche, quando la narrazione si fa seria, drammaticissime.
È la provincia abruzzese quella di cui si parla ma è anche una Provincia, per così dire, assoluta e meritevole di maiuscola, che potremmo oggi dichiarare europea giacché la si può trovare in Francia come in Spagna o in Belgio e in Portogallo e in Gran Bretagna e altrove; una Provincia che è teatro di vicende e relazioni umane tanto più appassionanti quanto più lontane dall’algida indifferenza metropolitana.
Con tutti i sogni, le ingenuità, la frustrazione diffusa che qualche volta – magicamente – divengono il motore di vite eccellenti.
Ciononostante, benché io non sia né coetaneo né conterraneo dell’autore, il libro “mi ha preso” e l’ho letto in poche ore col sorriso sulle labbra. Il linguaggio è schietto e senza fronzoli, non si perde in descrizioni verbose, mira all’essenziale e te lo sbatte lì, senza imbonimenti, con pennellate impressioniste: “succede questo e tu, lettore, fanne pure quel che vuoi”.
È un viaggio nella memoria, certo, ma lontano le mille miglia da quello di Marcel Proust che pure è opportunamente citato in apertura.
Sarebbe semplice dire che si tratta di un linguaggio cinematografico, considerando anche la biografia di Odorisio, autore di tante pellicole (e di sceneggiature) di successo e i cui esordi sullo schermo furono salutati – nientemeno! – dal Leone d’Oro a Venezia.
Ma non è così, c’è qualcosa in più ed è quel qualcosa che fa la differenza.
Non so (dovrò chiederglielo) se nella testa di Luciano questi racconti siano nati come sequenze di film e se lui li abbia poi trasposti per la pagina stampata, in un percorso opposto al consueto.
Se così fosse, nella trasposizione si sarebbe verificato l’incanto.
Dei nove racconti, l’ultimo merita un discorso a parte: qui si cambia registro e il flusso gentile e un po’ malinconico della memoria lascia il posto ad un gusto sornione – da regista “smagato”, mi verrebbe da dire – per il noir e per l’azione, amalgamati però in un impasto di sospensioni oniriche che fanno pensare ora a Benni e ad Ammanniti – per stare agli italiani contemporanei – ora all’hard boiled di Dashiell Hammett e Raymond Chandler.
Quindici euro ben spesi per centocinquantotto godibilissime pagine.