Prima di ammalarsi di Alzheimer, mio padre ogni mattina si svegliava alle sei, preparava il caffè, si dedicava alle sue abluzioni, si radeva, lucidava le scarpe.
Indossava la camicia bianca, il suo completo di lino d’estate, di lana d’inverno. Annodava con perizia il papillon, senza nemmeno guardarsi allo specchio.
Alle otto in punto era pronto per uscire. La prima tappa era all’edicola per comprare il suo giornale, Il Mattino di Napoli, edizione cittadina. Non era interessato a quella della provincia, troppi pettegolezzi!
Al suo passaggio, i suoi conoscenti sincronizzavano gli orologi.
“Sono le otto, sta passando don Peppino, il capostazione.”
E fu così per anni.
Nell’estate del 1979, le cose cambiarono.
Una mattina, ancora svestito, tentò di uscire:”Caterina, presto! È tardi! Ti accompagno a scuola, devi prendere servizio!”
“Papà, torna a letto, sono le cinque! Siamo ad agosto, la scuola inizia a settembre. Allora mi accompagnerai.”
In quei giorni la sua malattia si era aggravata.
Gli avevo detto di aver vinto il concorso a cattedra, che era arrivata la nomina nella sede di Frattamaggiore. Aspettavamo la notizia da tempo, ma lui era rimasto indifferente, lontano, perso.
Eppure qualcosa aveva colto, aveva ricordato il mio nome, voleva accompagnarmi a scuola come quando ero bambina. E poi il Servizio nello Stato. Come era stato per lui per tutta la vita.
Tutto il suo mondo era confuso, in quella mente che era stata così brillante, così curiosa di tutto.
Gli compravo ogni giorno quel giornale che giaceva abbandonato accanto al letto.
Si sedeva però a tavola, non aveva dimenticato le sue abitudini: pasti ad orario, tavola imbandita.
Perciò, quando lui ci aveva ormai lasciato il 2 aprile 1980, mio figlio Paolo, che aveva poco più di due anni e non aveva capito l’accaduto, nell’apparecchiare la tavola, continuò a mettere il posto per nonno Peppino.
In quello stesso anno vivemmo la tragedia del terremoto, il 23 novembre.
I due eventi sono strettamente legati nella mia memoria e spesso penso che lui avrebbe letto, con dolore, quella prima pagina del Mattino che invitava a fare presto. Gli è stata risparmiata.
Ed io, intanto, per anni ho continuato a comprare il Mattino di Napoli, edizione cittadina.
Caterina Abbate