Stralcio da un articolo di Marco Palombi per Il FQ, 5-3-19
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L’AFFLU ENZA.
I dati (ancora ufficiosi nella serata di ieri) dicono un milione e seicentomila votanti, il dato più basso della storia delle primarie democratiche in Italia, passate – a non contare quelle per incoronare Walter Veltroni nell’autunno 2007 – dai 3,1 milioni di Pier Luigi Bersani nel 2009 ai 2,8 milioni di Renzi nel 2013 al tracollo degli 1,8 milioni di votanti del Renzi bis nel 2017.
Ora almeno altri 200 mila elettori si perdono per strada in meno di due anni, un calo del 15% abbondante (comunque, percentualmente, una discesa dimezzata rispetto al -30% del congresso dei circoli, dove Zingaretti e soci hanno preferito bloccare il tesseramento per gestire il voto con l’apparato).
LE CITTÀ.
Anche la composizione di questa affluenza spinge a non considerare il risultato di ieri come un rilancio: il paziente è ancora vivo, ma la malattia non è stata sconfitta, anzi è forse peggiorata.
I dati, infatti, raccontano che – all’interno dei numeri generali – è cresciuto il voto nelle grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova) ed è quindi calato più della media quello nei piccoli centri e in provincia.
La partecipazione nelle città, come ad esempio il ritorno ai gazebo di alcuni volti dello spettacolo, rischia di essere fuorviante: si tratta spesso di un voto d’opinione già ben radicato nel centrosinistra alle urne e orientato in gran parte a mandare un duplice segnale “politico”, contro il governo e contro Matteo Renzi, il convitato di pietra delle primarie.
Insomma, potrebbe essersi accentuarsi la natura di “partito dei centri storici”o dei ceti affluenti già visto all’opera, disastrosamente, nelle urne.
NELLE REGIONI.
Se si analizza l’affluenza per regione una descrizione univoca è più difficile, perché incrocia ovviamente la vitalità del partito, la sua presenza nei governi locali e pure quella di capi-bastone in grado di portare gente ai gazebo.
Di fatto, com’era facile prevedere vista la forza di Nicola Zingaretti, l’unica regione in cui i votanti salgono nettamente è il Lazio (da 173 mila nel 2017 a oltre 190 mila). Confermano, all’ingrosso, i numeri del 2017 la Lombardia (oltre 220 mila), il Veneto (87 mila), la Liguria (45 mila), la Sardegna (47 mila): zone –Liguria e Milano città a parte – in cui le performance alle urne del Pd non sono mai state granché. Cala invece l’affluenza – dove più, dove meno –nelle regioni di storico insediamento elettorale: dalla Toscana (da 210 mila a 160 mila) all’Emilia Romagna (da 215 mila a 185 mila), dall’Umbria alle Marche fino al Piemonte (-8/9 mila). IL SUD.
La partecipazione del Mezzogiorno, che fu “protagonista” nel 2017, cala più o meno ovunque: tracollo in Basilicata (da 41.700 a 15.600), quasi dimezzata in Puglia (da 156 mila a 80 mila, ma due anni fa correva il governatore Michele Emiliano), in drastica discesa anche in Sicilia (si partiva da 112 mila votanti e si è arrivati, ma il dato al momento non è verificabile, a 70 mila);
Affluenza in calo pure in Campania, Calabria e Abruzzo.
I CAPIBASTONE.
La vittoria di Nicola Zingaretti è netta in tutto il Paese, ma in particolare nel centro-nord (in Lazio con percentuali bulgare, in particolare a Frosinone dove passa il 90% grazie al ras locale Francesco De Angelis) e nella Puglia di Emiliano.
Il peso di quelli che Veltroni chiamò “cacicchi”è ancora assai rilevante nel partito.
L’apparato renziano, ad esempio, spinge a percentuali tra il 15 e il 20% Roberto Giachetti in Toscana, nelle Marche e nell’Umbria della sua co-candidata Anna Ascani.
L’appoggio di Vincenzo De Luca, dei fratelli Pittella e di un pezzo del partito calabrese porta Maurizio Martina a risultati doppi rispetto alle altre regioni in Campania, Basilicata e Calabria (in cui, peraltro, Zingaretti è arrivato comunque primo dando un segnale di forza sua e debolezza loro).
Nel regno di don Vicienzo, peraltro, si registra l’unica parzialissima sorpresa di giornata: se la corsa a segretario nazionale la vince il governatore del Lazio, infatti, quella per la guida del Pd in Regione resta appannaggio di De Luca & C. col fedelissimo Leo Annunziata, che raccatta dieci punti più del suo teorico leader nazionale Martina.
I RISULTATI.
Zingaretti non sarà un leader a metà: ha vinto bene. Per l’ex ministro e segretario pro-tempore, che contava sull’appoggio di oltre metà dei parlamentari dem, il 22% è una sconfitta pesante.
Roberto Giachetti, invece, mette assieme un onorevole 12,5%, probabilmente in attesa di lasciare il partito (dopo le Europee) insieme agli altri pasdaran renziani e, ovviamente, al dante causa.
Un’altra grana per il nuovo segretario di un partito che sembra in salute solo a chi è molto distratto.”