L’APPROPRIAZIONE CULTURALE di Francesco Maria De Collibus
“Io sono di Pescara. Dopo tanti anni sono anche di Milano, ma questa è un’altra storia: io a Pescara ci sono nato, e si nasce in una città sola.
So precisamente la tonalità d’azzurro che il mare Adriatico prende quando si fa largo a fatica tra i palazzi degli anni 70.
È un colore metallico che sa di cenere.
So come si trasecola quando appare la Torre del Comune alla fine dell’autostrada dopo un lungo viaggio.
So come si scherza tra maschi nei bar dello stadio, come si riconosce un buon fiadone e che fruscio fa la carta dei cacionetti quando la scarti di fretta e furia, già con l’acquolina in bocca.
Conosco il rumore degli schizzi d’acqua salmastra contro le carene arrugginite dei pescherecci nel porto fluviale e il traballare del coperchio di una pentola con sugo d’agnello che sta bollendo da ore, dimenticata nel pomeriggio.
So come riconoscere un pescarese tra centomila, da un minimo guizzo del palato, “auà”, e so che per tradizione devo odiare i chietini, e amare il Pescara calcio anche se ho visto una sola partita a 11 anni: pareggiammo col Verona.
Lu Pescara, c’ha fatte lu Pescara? Ndo’ iucheme? Lu Pescara: una volta sarebbe stato il fiume e non la squadra, quella distesa verde, probabilmente tossica, priva di pesci o di vita.
Non c’è niente di sacro a Pescara, tolto l’asse attrezzato: solo sotto quei piloni mi viene voglia di pregare, il cemento è la nostra unica manifestazione del sacro.
Niente mi raffredda come l’aria umida dell’inverno a Pescara, niente mi fa bollire come il caldo dell’estate a Pescara: la mia è una specie di sregolazione termica, chiaramente intenzionale, come se il mio corpo non volesse difendersi dalla propria stessa città, e tutte le difese venissero di colpo abbassate.
Io so che a Pescara devo stare attento alle radici dei pini lungo le strade che si chiamano come opere di D’Annunzio: si rischia di inciampare tra quelli alberi come nella vita.
Pescara non è la città più bella del mondo, non è la città più colta del mondo, non è la città più ricca del mondo: ma io ci sono nato e si nasce in una città sola.
Oggi ho visto questa foto. Quella che per voi sarà solo una frase simpatica “perché nu seme nu”, per me è un verso del cantante sacro Lou-X, ovvero l’unica cosa che ascolterei all’infinito e sempre con le lacrime agli occhi.
Quest’uomo che cambia identità più spesso delle sue mutande, che si infila travestimenti posticci per rivendicare identità peggio che superficiali, scimmiottamenti di identità, parodie di appartenze, da comunista padano a poliziotto, oggi si finge pescarese e mi ha ricordato cosa voglia dire davvero essere pescarese.
Togliti subito quella maglia, buffone, indossa il tuo prossimo costume di scena per ingannare nuovi gonzi: nu, caro mio, nu seme nu pe ddaver’.
E quanne passeme nu, la ggente da’ dice “Essi quiss”. Ma chi so quiss?” “Quiss, so quill”.
Nu seme quill. Nu seme nu. Tu nin si nu cazze.”