“Crollano gli sbarchi, crollano i permessi umanitari. Volere è potere, io non mollo di un millimetro, avanti tutta! #stopinvasione”.
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È il perentorio tweet lanciato stamattina da Salvini. Colpisce soprattutto l’hashtag, perché l’immagine di un’invasione è elemento retorico, figurato, che viene usato nella guerra degli slogan politici, ma non nelle comunicazioni dirette di un vicepremier con delega alla sicurezza territoriale.
È da almeno un anno che i flussi migratori si sono praticamente azzerati, questo ce lo dicono gli stessi dati ufficiali del Viminale.
E allora perché Salvini stressa ancora il tema dell’invasione?
Ovvio, perché continua a ritenerlo vincente rispetto all’opinione pubblica.
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E del resto tutti gli esperti demoscopici sono concordi nel dire che il grande balzo di consensi del leader leghista è partito dalla gestione intransigente della crisi legata alla nave Diciotti, l’estate scorsa.
Insomma, il “cattivismo” (caricatura speculare del “buonismo”) continua a pagare, e visto che siamo in campagna elettorale permanente Salvini ne fa un uso abbondante, ostentato, scegliendo come
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avversari e zimbelli tutti coloro che ne avversano le tesi, come fossero una compagnia di ventura del vecchiume, politici-attori-giornalisti-cantanti.
Li descrive come ricchi e privilegiati, baciati dall’establishment della sinistra, che non conoscono l’esasperante realtà del paese reale, delle periferie buie e invivibili, della prossimità col crimine, i campi rom e i centri di accoglienza, punti di raccolta della manovalanza buona per ogni traffico illegale.
E con gli appestati dell’accoglienza cieca finiscono nel lazzaretto della critica salviniana anche i monatti dell’aiuto in mare e a terra, burattini di una consorteria rapace, che va da Buzzi a Soros.
Il capovolgimento del sentimento sull’accoglienza è stato totale e repentino, in tutta Europa e nel resto dell’Occidente, ma è particolarmente evidente in un paese come il nostro che per radici cattoliche e esperienze massicce di emigrazione all’estero era illusoriamente considerato impermeabile a chiusure o ostilità nei confronti di chi arriva.
La miscela che ha ribaltato tutto è l’incrocio tra la coda della lunga crisi economica – che in Italia ha colpito più a lungo e più duramente che altrove – e la gigantesca ondata migratoria dall’Africa del 2015.
La sinistra che era alla guida del paese pensò che il fenomeno potesse essere governato: si illuse che il sentimento popolare fosse ancora quello novecentesco delle braccia aperte, degli italiani brava gente.
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Ma quella sinistra aveva perso il contatto con la realtà diffusa.
Non aveva visto che lungo il tunnel della crisi i ceti inferiori si erano impoveriti molto più di quanto non fosse stata intaccata la classe medio-alta urbana, ormai diventata il suo elettorato di riferimento.
L’Italia profonda dei piccoli centri e delle periferie urbane, che già scontava un ridimensionamento del suo tenore di vita e delle sue speranze future, da un giorno all’altro veniva investita dagli effetti collaterali di un’immigrazione senza filtro né organizzazione, ne percepiva i rischi e veniva contagiata dalle paure antiche, prima tra tutte quella dell’ “uomo nero”.
Avendo perso i contatti con quell’Italia profonda, la sinistra di governo continuò a lungo a credere che i valori fondamentali di fratellanza e accoglienza non fossero intaccati.
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E con ciò aggravò le cose, pensando che la grande battaglia “tra il bene e il male, tra il nuovo e il vecchio” sul referendum avrebbe fatto svoltare il paese intero, anche su questo crinale.
La dura sconfitta spazzò via anche l’incantesimo sui migranti: il dissenso era troppo ampio per proseguire sulla linea tracciata da Renzi e Alfano, e a tentare la disperata inversione di rotta fu chiamato Minniti. Ma era troppo tardi, troppo per la sinistra pura, troppo poco per frenare il flusso emotivo imperante.
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Salvini ci era arrivato per primo. Ma non a caso anche forze tra loro opposte, e però molto simili nel sondare e cavalcare le istanze prevalenti dell’elettorato, come il M5S e Forza Italia, abbracciarono la linea dura. Del resto, con la svolta Minniti anche il Pd aveva preso le distanze dalla sua stessa politica.
E nessun altro in Europa era immune dal fuoco sovranista.
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L’egoismo dell’Unione, che aveva lasciato sola l’Italia, fu l’arma del colpo finale, la riprova dell’accusa definitiva: “Non solo avete accettato un’ondata incontrollata, arricchendo le vostre cooperative di accoglienza, regalando 35 euro al giorno a sfaccendati negli hotel col wifi, importando le mafie africane, incrementando gli stupri, rendendo invivibili periferie e piccoli centri, ma in più avete fatto il lavoro sporco per Bruxelles Berlino e Parigi, che poi ci hanno pure lasciati soli. Complimenti!”.
Si sa come sono andate le cose, dalle elezioni di marzo in poi, fino ad oggi.
Perfino nei giorni di Natale, quando i buoni sentimenti vengono
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somministrati ancor più dei carboidrati, una nave di soccorso con poche decine di migranti (uomini, donne o bambini, che cambia?) non ha trovato un porto che la accogliesse, nel disinteresse generale rotto solo da gesti e frasi di circostanza.
Queste sono le cause, le premesse e i passaggi fondamentali di una sconfitta storica, quella dell’idea di accoglienza fondata sui principi cristiani uniti a quelli della Francia del 1789. L’Italia ne è stata laboratorio politico come spesso le accade. Le cose possono cambiare? È giusto o no che cambino? Ne riparliamo nei prossimi giorni, qui.
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Enrico Mentana – 05/01/201915:58 dal suo giornale On Line