di Giovanni Valentini per Il FQ, 15-3-19 a proposito del libro appena uscito di Carlo Verdelli
“Non ho ancora letto il libro in cui Carlo Verdelli, il neo direttore di Repubblica, racconta la sua breve e travagliata esperienza alla Rai, nella veste di direttore editoriale, a fianco dell’ad e dg Antonio Campo Dall’Orto.
Entrambi, come si sa, furono poi costretti a dimettersi nel giro di un anno e mezzo o poco più.
Ho letto però la recensione di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, dove si parla testualmente di defenestrazione, e poi l’elogio dell’ex consigliere di amministrazione Guelfo Guelfi, di nomina renziana, sul Foglio.
E tanto m’è bastato per farmi un’idea della tesi del memoir di Verdelli.
COMINCIAMO dal titolo del libro, edito da Feltrinelli: Roma non perdona.
Sottotitolo: Come la politica s’è ripresa la Rai. Ma quando mai, in quale periodo storico, la politica ha lasciato la Rai?
Non risulta che sia accaduto né nella Prima Repubblica né nella Seconda e, almeno finora, neppure nella Terza sotto il governo giallo-verde.
Ha ragione probabilmente de Bortoli: Verdelli “non sapeva allora che avrebbe poi diretto Repubblica (sede principale a Roma) se no il titolo sarebbe cambiato”.
Ma il problema non è soltanto logistico, perché quel giornale è da sempre “romanocentrico”, strettamente legato alla vita politica, al cosiddetto Palazzo.
E dunque, il neo direttore si ritroverà prima o poi a frequentare gli stessi ambienti: tanto più che ormai “Stampubblica” non appartiene più a un “editore puro” – com’era la proprietà originaria divisa fra il Gruppo L’Espresso e la Mondadori, e com’è stato fino a quando è durato Carlo Caracciolo – bensì a due padroni come la Fiat e la famiglia De Benedetti, due lobby che con quel mondo hanno avuto e hanno molto a che fare. Auguri.
Quanto alla Rai, posto che la politica non se l’è ripresa per il semplice fatto che non l’ha mai lasciata, bisogna dire che non l’aveva lasciata neppure ai tempi in cui Campo Dall’Orto e Verdelli furono insediati al vertice.
Anzi, quelle nomine, precedute da una “riformicchia” del governo Renzi che avocò la scelta dell’ad e accentrò nelle sue mani i pieni poteri contro tutte le pronunce della Corte costituzionale, furono decise in forza di una lottizzazione come tutte le precedenti.
Per cui, al di là delle doti e dei curriculum delle persone prescelte, corrispondevano a un criterio di appartenenza o di fedeltà politica.
E così sarà, purtroppo, fino a quando non verrà approvata una riforma organica, sul modello di quella proposta nel 2005 – come ha ricordato Marco Travaglio – da un gruppo di giornalisti, artisti e giuristi, per affrancare il servizio pubblico dalla sua doppia sudditanza alla politica (governance) e alla pubblicità (risorse).
A memoria d’uomo, non sembra che l’autore del libro si sia mai occupato della questione in precedenza, né su Vanity Fair, né sulla Gazzetta dello Sport e neppure sul Corriere.
Il suo piano editoria- le, pur contenendo alcune proposte positive e altre meno come il trasferimento del Tg2 a Milano, un improbabile Tg Sud, l’accorpamento RaiNews-Tgr e la riduzione delle sedi regionali, ottenne una bocciatura informale dal Cda.
E in particolare, suscitò la giustificata opposizione dell’Usigrai.
La stessa liaison di Verdelli con il consigliere di amministrazione renziano, l’unico componente del Cda – come rivela lui stesso – col quale aveva buoni rapporti, conferma quantomeno un’affinità personale e intellettuale.
Del resto, non era un mistero per nessuno che Campo Dall’Orto, chiama- to dall’autore del libro il Celeste – “chissà perché”, nota de Bortoli – come Formigoni, avesse stabilito un rapporto privilegiato con l’ex premier ed ex segretario del Pd.
Tanto da aver partecipato anche a una o più edizioni della Leopolda, non si sa se in qualità di osservatore o di supporter.
Sarà pur vero, allora, che “Roma non perdona”.
Ma non perdona soprattutto i peccatori. E noi, cristianamente, lo siamo più o meno tutti.”