Luciano Odorisio, Politica

L’Italia del Quattro Marzo di un anno fa non esiste più

Stralcio di un articolo di Fabrizio D’Esposito per Il FQ, 27-05-19

L’Italia del Quattro Marzo di un anno fa non esiste più. Meglio: si è ribaltata. La Lega diventa il primo partito del Paese con una percentuale che sfiora il trenta per cento, in base alle prime proiezioni. Certo, ci sarà da capire se la soglia psicologica con il tre davanti sarà raggiunta, ma la sostanza non cambia. 

Al contrario, il M5S frana in picchiata al venti-ventuno per cento e anche qui ci sarà da conoscere se il dramma grillino precipiterà ancora più in basso, dopo aver subìto il sorpasso del Pd di Nicola Zingaretti. 

IN OGNI CASO è la somma che fa il totale e la maggioranza gialloverde può contare su un cinquanta per cento ancora reale sul territorio, seppur a parti invertite. Dettaglio non secondario, diciamo così, alla luce dell’ultimo tremendo mese di campagna elettorale con il batti e ribatti tra i due contraenti di un anno fa (il governo Conte festeggerà il primo compleanno sabato prossimo). 

Ma proprio la forchetta tra le due forze, dagli otto ai dieci punti, delinea un futuro pieno di incognite che può anche sfociare nella paralisi o nel pantano per una combinazione di fattori. In questo scenario nuovo come si modificherà il ruolo di garanzia del premier presunto terzo? 

Da oggi, innanzitutto, i leghisti di Matteo Salvini, compreso quel partito del Nord di Giorgetti & Zaia, si presenteranno al premier e al vicepremier Luigi Di Maio con la lista della spesa: flat tax, autonomia, Tav, finanche la riforma d el l’abuso d’ufficio. Sarebbe riduttivo pensare solo a un riequilibrio di poltrone con un rimpasto scontato. La vera questione è l’agenda dell’esecutivo. 

Senza dimenticare che fino all’esplosione del caso Siri (il sottosegretario del Carroccio “revocato”per l’inchiesta sull’eolica), è stato il vicepremier leghista a scandire il ritmo della narrazione gialloverde per oltre dieci mesi. Cosa accadrà ora che Salvini si sente virtualmente premier? 

Non solo: per la prima volta nella storia repubblicana, la destra estrema o sovranista, cioè Lega più Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, tocca quota 35 per cento. Un terzo del Paese, un dato impressionante. 

L’INCOGNITA però destinare a pesare di più è il processo critico, per usare un eufemismo, che si aprirà nel M5S dopo il tracollo di ieri. Cosa succederà? 

Nell’ultimo mese Di Maio ha tentato di recuperare terreno nei confronti della Lega con una sorta di svolta a sinistra. Allo stato gli elettori non ci hanno creduto e soprattutto hanno premiato di più il Pd come argine alla xenofobia salviniana. 

Questo il vero nodo per il capo politico grillino: non si può essere alleato e oppositore allo stesso tempo. Ma anche la Lega si ritrova con un fronte irrisolto: Silvio Berlusconi. 

Alla vigilia del voto, nel Palazzo ha tenuto banco il tema di un eventuale sorpasso meloniano su Forza Italia. Non dovrebbe esserci e l’ex Cavaliere Ottuagenario potrebbe galleggiare ben contento al dieci per cento. Il centrodestra, con lui, è al 46 per cento e se Salvini vorrà tentare nel breve periodo la scalata a Palazzo Chigi sarà costretto a fare ancora i conti con lui. ED È 

PER QUESTO che l’auto-critica grillina (con le variabili Di Battista e Fico) combinata con il fattore B. di Salvini potrebbe portare a un nuovo pantano di governo destinato a durare per mesi, alle prese però con il bivio della manovra autunnale. 

Lo sbocco potrebbero essere le elezioni il prossimo anno, nel 2020, ma quale governo sarà a gestire le ipotetiche urne anticipate? In questo contesto a stare felice alla finestra sarà il Pd di Nicola Zingaretti. 

Il sorpasso sul M5S è un dato decisivo anche a uso interno, facendo rosicare i gufi renziani. 

Con questi numeri, i vari colonnelli dem che fanno ancora capo all’ex Rottamatore non potranno aprire alcun processo interno. Sarebbero respinti con grossi sorrisi sarcastici. 

Il nuovo segretario del Pd ha visto senza dubbio premiata la sua linea tattica, basata su voto anticipato e nessuna interlocuzione con gli attuali vertici del M5S. 

Anzi, le virtuali urne delle Politiche vedrebbero anche in questo caso rapporti di forza ribaltati: primo il Pd, indi i grillini, che però insieme non sono affatto maggioranza. 

Per arrivarci bisognerebbe sommare i voti europeisti di Bonino e Tabacci e quelli della sinistra di Fratoianni. Un fronte troppo variegato. 

MA SONO ragionamenti prematuri. Da oggi a Zingaretti premerà capire se nel M5S si va incontro a un redde rationem tra Di Maio e gli altri pesi massimi del Movimento. 

L’uomo su cui si punta al nazareno è Roberto Fico, il presidente della Camera che tenne un mandato esplorativo un anno fa e varò un dialogo minimo tra democratici e grillini, poi stoppato in diretta tv da Renzi. 

Altri tempi. Quell’Italia già si è ribaltata e oggi comincia un nuovo mondo. Verdegiallo, non più gialloverde. Non è poco.”

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