“LA CORAZZATA POTËMKIN È UNA CAGATA PAZZESCA!!!”…O NO?
3a parte
di Roberto Savoca
La propaganda della Guerra Fredda ci ha trasmesso un’immagine della Russia e delle repubbliche sovietiche nella fase post rivoluzionaria pervasa di gelo e grigiore, di controllo poliziesco e di cieca repressione.
Ci sarà anche del vero, non discuto, ma non è questa la sede adatta per parlarne. Certo, per il gelo non ci sono dubbi, specie d’inverno…
Ma il cinema… ah, il cinema!
È quella un’epoca entusiasmante di pionieri, di trasgressione e di sperimentalismo e anche di uno sforzo teorico titanico per la sistematizzazione delle idee e del linguaggio, per l’elaborazione di una “linea generale”, con lotte senza esclusione di colpi tra le diverse tendenze, una primavera del pensiero!
Si combatte una sorta di cine-guerra fredda ante litteram, nella quale allo statunitense Griffith che inneggia al Ku Klux Klan
e alla tedesca Riefenstahl che esalta il nazismo
risponde il drappello geniale dei sovietici che lavora per la Rivoluzione Bolscevica con un fuoco di fila implacabile di capolavori cinematografici.
Non solo Ėjzenštejn, dunque, ma Pudovkin, Dziga Vertov, Kulešov, Dovženko, Kozincev e Trauberg e decine di altri cineasti sono impegnati non solo a realizzare film ma, letteralmente, a inventare il cinema, attraverso le loro teorizzazioni ardite. Talvolta perfino troppo ardite! Dziga Vertov, quello un po’ più “estremista”, arrivò a ipotizzare la morte del cinema (di già, pensate!).
Il suo movimento (Kinoglaz = cine-occhio) preconizzava il filmare solo la realtà vera, consegnare le cineprese al popolo, abolire ogni finzione, per la sola forma espressiva possibile: la Kinopravda (cine-verità).
L’arrivo del sonoro (con “Il Cantante di Jazz” che è del 1929) suscitò nuove problematiche estetiche relative al montaggio, provocando un certo smarrimento iniziale.
Ėjzenštejn avviò profonde riflessioni teoriche sull’accostamento tra immagini in movimento e musica (con l’elaborazione della teoria del montaggio verticale) che lo condussero a un’intensa collaborazione artistica con il grande compositore Sergej Prokofiev sfociata, nel 1939, nella realizzazione di “Aleksandr Nevskij”.
Ėjzenštejn ritiene, in sostanza, che il montaggio debba tendere alla sua invibilità essendo la fluidità, lo scorrere ininterrotto del racconto, lo scopo da perseguire attraverso di esso.
Quando si esegue una giunzione (l’attacco) tra un’inquadratura e la successiva si crea comunque una frattura visiva che il commento musicale non deve evidenziare.
Occorre quindi che la giunzione non corrisponda con la battuta o con l’accento musicale, ma cada a metà tra i due eventi.
Teorizzazione formalmente ineccepibile, magari giusto un tantino “talebana”.
È interessante notare che negli anni ’80 del ventesimo secolo, soprattutto con l’avvento dei video musicali, si sviluppò la tendenza a operare in modo esattamente opposto, cercando il sincrono tra attacco visivo e battuta musicale…
Ma, insomma, come diceva un saggio “che cento fiori sboccino e cento scuole gareggino”…
A presto 🙂
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