“A volte si sentiva da lontano una specie di richiamo, un fischio magico musicale, era “Passeretto” che cercava un giaciglio per la notte, allora si faceva silenzio e si ascoltava, ognuno seguendo dentro di sé la melodia dei propri sentimenti che il fischio evocava.
Passeretto, un piccolo omino senza terra nè casa che un giorno apparve in paese come d’incanto.
Non sapevano nulla di lui, come si chiamasse, da dove venisse, chi erano i suoi parenti.
Intabarrato nella sua corta mantellina, da alpino guerra 15/18, batteva il cappellaccio floscio da zampognaro per terra il numero di volte che i ragazzi volevano, li faceva ridere, viso buffo, a punta, occhietti due fessurine maliziose e intelligenti, somigliava ad un passero, un passero solitario, non parlava, fischiava, era il suo modo di esprimersi.
Dopo battutine e soliti lazzi, intascato qualche spicciolo, lui regalava loro l’incanto, la favola, col suo fischio melodioso, dolcezza di un flauto naturale, poesia.
A volte dormiva alla Villa Comunale in qualche anfratto riparato nella roccia, a volte nei portoni dei palazzi antichi, soprattutto l’inverno.
Ed in un palazzo antico lo trovarono, dietro un portone, rannicchiato su se stesso per il freddo, dopo aver fischiato il suo ultimo canto, “Tu scendi dalle stelle”, così racconta chi giura di averlo sentito verso mezzanotte, coperto da cartoni e giornali, a darsi calore abbracciandosi da solo, in posizione fetale, in una notte di gelo, in una vigilia di Natale, una gavetta ammaccata con un tozzo di pane e un po’ di latte davanti.
In quella notte mentre al caldo di una grotta nasceva il redentore, nel freddo di un portone moriva la poesia.
In quella notte di Natale.
Sulla tomba i ragazzi scrissero con semplicità:
“Passeretto, mai nato, mai morto, sempre nei nostri cuori”
Quell’anno fui promosso a pieni voti.
Mi regalarono una bicicletta, una Bianchi, odore di gomma e felicità in quel negozio Bascelli & Figli, proprio di fronte alla mia vecchia scuola.
E al mare quell’estate diedi il mio primo bacio durante un tramonto che sembrava non avere fine.
Tornò di nuovo l’autunno.
Il profumo del tiglio.
Le superiori.
L’inverno e la neve.
Ma Passaretto non c’era più.
E io ero diventato grande.
E qualche volta, quando nevica, ovunque io mi trovi, sento ancora quel fischio.
E mi giro verso un ricordo, verso la poesia.
Verso un mondo lontano.
Verso quel ragazzino che mi sorride ancora da una piccola foto da incorniciare, nel mio studio, fra bollette da pagare e libri da leggere e quadri da appendere.
E quel ragazzino sono io.”
Da “Non invecchieremo mai”, Il Viandante Edizioni
Claudio Trionfera per Maxim: “Luciano Odorisio non è uno scrittore ma un regista di fine sensibilità e passione. Tuttavia in questo suo libro riesce a dimostrarsi scrittore con le medesime caratteristiche del cineasta. Coinvolgendo e divertendo, soprattutto accendendo la memoria fino a provocarla e, in qualche modo, a tormentarla quando il ricordo si fa strada senza fatica in una beata gioventù fatta di eventi, flash, personaggi e sensazioni.” (continua)