di Caterina Abbate
Non per una carriera nella politica, ma per una politica nell’interesse dei cittadini.
Ho interrotto bruscamente la mia carriera politica con le dimissioni da consigliere comunale.
In realtà non ero alla ricerca di una carriera nella politica, ma volevo semplicemente partecipare al rinnovamento della mia città.
Mi ero resa conto che ciò non era possibile.
E volevo fare l’insegnante.
Ma a modo mio, non seguendo l’esempio dei miei professori.
Alcuni erano stati proprio bravi nelle loro discipline, ma guardavano sempre gli alunni dall’alto della cattedra.
Dall’alto, perché le cattedre erano collocate sulle pedane e i prof dominavano con lo sguardo tutta la classe.
Quella posizione era emblematica del rapporto docente/alunno e dell’autoritarismo imperante nella scuola.
Quando divenni docente, le pedane furono abolite.
Nella mia scuola l’occasione fu offerta dal fatto che dei topolini, si disse, le avevano utilizzate come nido.
In realtà soffiava un vento nuovo.
I prof scendevano dalla cattedra, erano al livello degli alunni, imparavano insieme a loro.
Era il lavoro politico che desideravo attuare: formare, con la partecipazione e con la trasparenza, i cittadini della Repubblica.
Forse per manipolarli, spingerli a condividere le mie idee politiche?
No. Questo mai.
Ero chiara nelle mie scelte, ma ho sempre rispettato quelle altrui.
Nè mi proponevo come depositaria della verità o come leader carismatica.
Né come amica dei miei alunni.
A scuola i ruoli devono essere ben definiti ed il rispetto deve essere reciproco.
Proprio in virtù della coerenza alle mie idee ed alla chiarezza mi iscrissi alla CGIL-Scuola.
Allora si chiamava così; oggi è FLC-CGIL, Federazione Lavoratori della conoscenza.
Ed è forse più appropriato: i docenti sono dei lavoratori, anche se la maggioranza degli italiani ritiene che i docenti siano privilegiati e non lavorino affatto.
I tre mesi di vacanze estive, le vacanze di Natale e Pasqua, l’orario di 18 ore e così via.
I soliti pregiudizi che ora non è il caso di discutere.
Per molti l’iscrizione al sindacato, quale che fosse, serviva come trampolino di lancio verso la carriera politica, dal Consiglio regionale al Parlamento.
Ne abbiamo visti tanti.
Non era così per noi.
Eravamo in tre alla CGIL nella mia scuola, poi diventammo una decina su circa cento docenti.
Questo per sottolineare la rilevanza del sindacato e le prospettive di successo nelle nostre lotte.
Non che i colleghi ci fossero ostili, anzi avevamo numerosi simpatizzanti, ma era prevalente il desiderio di non esporsi, il timore di ritorsioni.
Il pensiero dominante per molti era ottenere un buon corso, con alunni scelti, un buon orario, il giorno libero desiderato.
Per tutti era il Sabato.
Vivere tranquilli.
Io invece non ero affatto tranquilla.
Non avevamo una sede adeguata, si prospettavano doppi e tripli turni.
Venne il tempo della lotta.