Quando ero bambina, nella provincia del nostro Sud, la figlia femmina non era uguale ai maschi, ma considerata meno intelligente, meno bisognosa di cure o privilegi, con un destino già segnato: dedicarsi alla famiglia di origine o futura. Lo studio, un’opzione non richiesta.
Anch’io non sarei stata trattata diversamente, se non fossero intervenuti due fattori imprevisti: la smania autonomistica di mia madre e la mia sete di giustizia.
Mia madre, infatti, era uno spirito libero, sempre controcorrente, perciò mi ha educata come i miei fratelli, mentre io, per vincere i pregiudizi ingiusti, ho lottato per superare la timidezza o, per contrasto, l’aggressività, che pure provavo.
Sapevo di essere uguale ai maschi.
Mi offendeva, ad esempio, il fatto che a scuola dovessi indossare il grembiule nero, mentre i maschi erano liberi nel loro abbigliamento.
Una piccola cosa, direte.
Come mi offendevano le parole di un professore di italiano:
“I ragazzi sono più creativi, non hanno necessità di studiare molto, le ragazze invece…”
Io chinavo la testa, non reagivo, ma mi montava una rabbia cosi profonda, che avrei voluto lanciargli un libro contro.
Invece mi impegnavo sempre di più nello studio.
Il mio atteggiamento sembrava confermare il pregiudizio di quel professore, mentre derivava dalla convinzione che una ragazza per farsi valere dovesse impegnarsi il doppio.
Così son diventata buona, buona per forza.
Sempre pronta ad aiutare, sempre attenta a compiere il mio dovere, controllando i miei impulsi, la rabbia, che mi diceva:“Reagisci, ribellati!”
Mentre nella mia vita “fuori” trovavo il mio spazio imponendomi con la forza del carattere, nella mia famiglia di origine le cose non sono mai cambiate, sono stata sempre la stessa.
Buona, ma un po’ scema.
Il tempo non è passato invano.
Ho una nuova famiglia e non devo più nascondere quello che sono.
Non necessariamente buona per essere accettata, non buona, anzi buonista, per dimostrarmi importante, per fingermi diversa da quello che sono.
In questo mondo di maschere e di inganni, rivendico il diritto di essere me stessa e, come Adele Astaire, la sorella di Fred, una ballerina più brava di lui, che non proseguì la sua carriera e, dopo il matrimonio, si ritirò in un castello di duecento stanze, anch’io mi rifugio nella mia casa, che non è un castello, ma è adatta a me.
Non fate, però, arrabbiare i buoni! Quelli veri.
Ed ora Fred e Cyd in un celebre passo a due: