di Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera
La frase rotola giù dal palco del teatro dell’Elfo.
Anzi, scivola perché non fa rumore e non attrae l’attenzione quanto le intemerate contro Matteo Salvini. «Non è che ci sia tutto sto po’ po’ di alternativa oltre il Pd»: Matteo Renzi la dice così nel primo giorno della grande Convention dei «suoi» comitati civici a Milano.
Prima che l’ex segretario prenda la parola arriva anche il sindaco di Milano Beppe Sala, con cui i rapporti erano più che freddi, ma che ora è qui, e applaude più volte il discorso di Renzi.
È quasi una prova di forza non dentro il Pd, ma verso l’esterno. L’ex premier parla da leader: «Torneremo a vincere, ci riprenderemo il Paese».
E in platea più di uno si chiede se l’ex premier abbia veramente in mente di far una «cosa sua» in autunno, dopo la Leopolda, o se, piuttosto, punti a riprendersi il Pd.
Sul palco Renzi non lascia a bocca asciutta i «suoi» elettori, e si esibisce in un durissimo attacco a Salvini: «Glielo dico in russo, così capisce meglio: tovarisch Salvini, glasnost, trasparenza per favore!».
Renzi accusa il ministro dell’Interno di «alto tradimento» perché, sottolinea, «non credo che la Lega abbia avuto quei 65 milioni, ma gli uomini di Salvini i soldi li hanno chiesti, e a una potenza straniera: il Parlamento non può non discuterne».
E quindi Elisabetta Casellati ha compiuto un «atto gravissimo e inaccettabile», quando ha bocciato le richieste del gruppo del Pd di porre in Aula il problema di Salvini e dei russi.
Eppure Salvini non è solo un nemico. È colui che ha fatto capire a Renzi che non ci sarebbero state le elezioni anticipate, quando tutto il Nazareno le dava per scontate.
Ed è soprattutto l’avversario del futuro, quello con cui giocarsela quando (ed è questo l’intento comune del ministro dell’Interno e dell’ex premier) i 5 Stelle si saranno liquefatti.
Dunque non c’è la scissione, almeno in questa fase, nell’orizzonte di Renzi. Non a caso a un ex pezzo grosso del Pd che gli chiedeva se volesse «riprendersi il partito» lui ha risposto senza esitazioni: «Ci stiamo provando».
«Torneremo a vincere» grida Renzi dal palco. E aggiunge: «Ma sarà lunga e complicata».
Già, perché in autunno la Lega potrebbe strappare l’Umbria e la Calabria al Pd. E sarebbe un’ulteriore sconfitta del Partito democratico. «Veltroni si dimise per molto meno, per la Sardegna», commenta qualcuno in platea.
Poi a gennaio si vota in Emilia-Romagna, un’altra regione, incredibilmente, diventata a rischio.
A quel punto, pensano i renziani, il loro leader potrebbe tornare in gioco, con un congresso anticipato, e, soprattutto, con le primarie. Del resto, già si notano micro smottamenti nell’area di maggioranza.
Dario Franceschini, alla penultima assemblea del gruppo della Camera non ha sposato la linea Zingaretti-Gentiloni-Minniti sulla Libia, ma ha fatto la proposta, poi risultata vincente, di astenersi dal voto su quella missione.
E ieri un padre nobile del Pd, quale è Pierluigi Castagnetti, ha rimproverato a Zingaretti di non avere linea: «Spero che dall’Assemblea di oggi a Roma esca una linea che ci conduca da qualche parte».
Il malessere interno c’è e Renzi lo cavalca. E sul palco dell’Elfo continua a parlare da leader dell’opposizione: «O torniamo noi a dettare l’agenda o non vinceremo mai più.»