Luciano Odorisio

Anziani “Mio padre è morto da solo, smettiamola di fare gli irresponsabili”

dalla rubrica “Lo dico al Fatto”,  Il FQ, 15-04-20

 FLAVIO BONDI 

CARO FATTO E LETTORI, nonostante siano passati alcuni giorni dalla scomparsa di mio padre che era ospite in una struttura in provincia di Arezzo, nella quale il virus ha contagiato 30 persone, e a oggi ha mietuto nove vittime, non riusciamo ad accettare la cosa. Per un mese non lo abbiamo potuto vedere per le restrizioni della Rsa, in compenso abbiamo assistito al funerale, niente salma per un ultimo saluto, niente cerimonia funebre, soltanto un sacco bianco in una fredda bara, calata in una fossa di un cimitero in presenza dei suoi unici due figli, una benedizione veloce e fine. 

Rimaniamo con la voglia di piangere la sua scomparsa, la voglia di deporre fiori sopra la lapide, per cercare di realizzare e soffocare il dolore, ma l’emergenza ci frena. Sui Tg vediamo code sulle tangenziali di persone che evadono dalle proprie abitazioni per passare la Pasqua nella seconda casa sul litorale. Mi chiedo, e vi chiedo, siamo noi che stiamo esagerando o sono gli altri che irresponsabilmente sottovalutano la gravità della situazione?

RISPONDE MADDALENA OLIVA

CARO FLAVIO, della morte, l’unica cosa certa è che durante la vita ognuno di noi ne fa un’esperienza: diretta, o attraverso qualcuno che amiamo. Le persone che in questi giorni, in queste settimane, si ritrovano a vivere un lutto drammatico come il suo sono, siamo moltissime. 

Persone, appunto, non numeri, come persone restano quei cari che oggi non ci sono più. Il coronavirus è entrato così nelle nostre vite, così è diventato in un certo senso la nostra nuova normalità. 

Anche per ciò che impone, come singoli e come società, nel modo di vivere e affrontare l’esperienza del lutto. Io credo che a tutti voi che vi trovate a non poter nemmeno piangere con un funerale i vostri padri, le vostre madri, i vostri zii e nonni, gli amici di una vita, bisognerebbe pensare quando si affaccia, tentatore, quel certo proposito di evasione, seguito dal “Be’, dopotutto che male c’è…”. Che male c’è se esco a farmi un giretto, che male c’è se parto per il mare o per la montagna, che male c’è se faccio pasquetta con gli amici. 

Ecco, dovremmo pensare a lei signor Flavio, oltreché a tutti i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che ogni giorno si ammalano e rischiano la vita in trincea. Purtroppo continuiamo a pagare anche il prezzo dell’irresponsabilità. Degli ancora tanti cittadini scriteriati e di certi politici che ci governano in alcune delle regioni più colpite, ahinoi. 

Susan Sontag ha scritto che “tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro Paese”. La malattia è “una cittadinanza più onerosa”. E non tutti riusciamo a essere cittadini allo stesso modo. Nemmeno “davanti al dolore degli altri”.

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