Davanti alla morte ammutolisco, soprattutto davanti ad una fine atroce come questa…non auguro a nessuno di morire, mai!
Neanche al mio peggior nemico!
Morire è “ingiusto”, figuriamoci se posso augurarlo.
E prendo le distanze da titoli come questo:
Anzi, di più, lo trovo orribile.
Così come trovo orribili gli auguri di morte, insulti e dileggi, non capisco perchè questa mancanza di rispetto, di pietas per l’uomo.
Ma non bisogna neanche dimenticare…
E bene fa il governatore della Toscana, Enrico Rossi:
“Marchionne versa in condizioni molto gravi.
I giornali esaltano le sue capacità di leader e di innovatore.
Ma, nel rispetto della persona, non si deve dimenticare la residenza in Svizzera per pagare meno tasse, il Progetto Italia subito negato, il baricentro aziendale che si sposta in Usa, la sede legale di FCA in Olanda e quella fiscale a Londra.
Infine, un certo autoritarismo in fabbrica per piegare lavoratori e sindacati; e gli occupati che sono passati dai 120000 del 2000 ai 29000 di oggi.
Marchionne era un manager capace, soprattutto per gli azionisti, ma certo poco o per niente attento alla storia e agli interessi industriali del Paese, il quale, d’altra parte, ha avuto una politica debole, priva di strategie industriali, che sostanzialmente ha lasciato fare.
In questo momento di dolore, non si deve però dimenticare la complessità e gli errori che sono stati commessi in questi anni e che alla fine sono stati pagati dai lavoratori e dai giovani in cerca di occupazione.
Mantenere una visione critica è la condizione indispensabile per provare a fare meglio.”
Mentre Bobo twitta giustamente:
“Ha chiuso fabbriche, licenziato operai, ha trasferito azienda,per anni sostenuta dal denaro pubblico, all’estero. Però l’ha salvata. (Applausi da destra). Aveva comunque un’aria vagamente simpatica.#Marchionne”
E lo stesso Giorgio Airaudo, suo avversario diretto, ne parla con rispetto, riconoscendogli meriti e demeriti:
“Nella storia dei manager Marchionne verrà ricordato per aver preso un’azienda fallita e acquistato con quella azienda un’altra che stava fallendo per poi farne un gruppo internazionale salvando il suo azionista.
Penso siano esistiti due Marchionne.
Il primo è il Marchionne che arriva in Italia e prende un’azienda che tecnicamente era da libri contabili da portare in tribunale.
È quello che io chiamerei Marchionne l’Italiano, il manager che recupera uno spirito nazionale, ritorna a parlare di prodotto, che gira gli stabilimenti, che mangia in mensa con gli impiegati, va a vedere come si fanno le singole lavorazioni. Aneddoti memorabili da questo punto di vista.
Abbaglia anche pezzi di politica di sinistra di allora. Penso a chi lo definiva un socialdemocratico piuttosto un non nemico dei lavoratori”, ricorda l’ex avversario.
È insomma Marchionne nazionale, quello del rilancio della Fiat.
È in questa fase che Marchionne si fa amare dai lavoratori italiani e persino dalla politica.
Quando è a Torino dorme al Lingotto, in una ex palazzina uffici rimodernata, dove spesso all’alba incontra i sindacalisti.
Per il sindacato è subito chiaro che il manager italo-canadese inaugura una nuova fase.
Già nel primo incontro ci disse subito: ‘Io so come affrontare le banche e gli americani‘
Quelli erano giorni in cui erano in corso molti attentati in Iraq. Non vedendoci convinti, mi disse:
‘Lei ha presente cosa stanno facendo i guerriglieri iracheni? Prima sparano e poi discutono. Ecco io li conosco gli americani. Con gli americani bisogna fare così, prima spari poi discuti. Se no non capiscono’. Aggiunse poi: ‘Vi garantisco che non chiuderò Termini Imerese e Mirafiori. Voglio un accordo con il sindacato e con i lavoratori perché non è colpa loro se la Fiat è così. Alle banche e agli americani ci penso io’.
In qualche modo ci propose un accordo per concentrarsi sugli altri fronti. Cosa che poi fece perché risolse il prestito convertendo con le banche italiane con buon risultato e si fece pagare da General Motors minacciando di regalargli la Fiat”.