Luciano Odorisio, Politica

Zingaretti parla di “visione condivisa”, pensa a un’alleanza vera e propria

di Wanda Marra per Il FQ, 28-8-19

La standing ovation nell’auletta dei gruppi parlamentari, mentre la direzione Pd dà il via alla grande opportunità (evidentemente così appare) di far nascere il “governo di svolta”; il tono (e il sorriso) di Nicola Zingaretti galvanizzato e “ottimista” (come si autodefinisce) per tutto il giorno; i cinque della delegazione al Quirinale (oltre al segretario dem, Paola De Micheli, astro nascente del nuovo corso, che tradisce un certo nervosismo mentre passa il peso da una gamba all’altra, Paolo Gentiloni, compunto e cupo e Andrea Marcucci e Graziano Delrio, vagamente defilati). 

Sono le immagini chiave del film della giornata della svolta – pure psicologica – del Pd. 

Insieme ad altre, un po’ meno festose: il posto di Carlo Calenda metaforicamente vuoto, con l’ex ministro che annuncia per lettera le dimissioni dalla direzione, causa accordo con M5S; 

l’unica mano alzata per dire di no, quella di Matteo Richetti; 

le chiacchiere tra Maria Elena Boschi e Matteo Orfini (seduti) mentre gli altri applaudono. 

NELLA SUA RELAZIONE,Zingaretti tocca una serie di questioni “centrali”. 

Il contratto di governo con un premier arbitro è “una formula che non poteva reggere”perché “non si può governare senza visione condivisa”. Solo così “sarà possibile parlare di un governo di legislatura”. Affermazione che ribadisce, da una parte, il no ai due vicepremier e la richiesta dei Dem di indicarne loro uno unico. 

Spiega Zingaretti: “Giuseppe Conte sarà il candidato Presidente indicato dai 5 Stelle. Noi riconosciamo in questa scelta l’autonoma decisione del partito di maggioranza relativa in questa legislatura. E in questa scelta è inciso il superamento di un modello sul quale si fondava il vecchio governo. Una figura condivisa e due vice espressione dei due partiti”.

E poi, l’obiettivo di “una visione condivisa”. Tradotto, significa prima di tutto un’alleanza organica e non un contratto. 

Ma guarda soprattutto alle future potenzialità di questa “fase politica”: “Davanti a noi abbiamo elezioni difficili: l’Umbria tra poche settimane. Poi Calabria, Veneto, la Toscana. E l’Emilia Romagna. Dobbiamo fare ogni sforzo per costruire in ciascuna di queste realtà l’offerta politica e programmatica più credibile”. 

È il via libera alle alleanze con i Cinque Stelle a livello amministrativo (dato già da Dario Nardella in un’intervista). Lo stesso schema su cui aveva ragionato la Lega dopo la partenza del governo gialloverde. 

Al Nazareno comincia a prendere forma un pensiero: il Pd – se mostra una qualche abilità –il Movimento se lo può mangiare elettoralmente e manovrare a livello di governo. 

Sentire Goffredo Bettini, il vero kingmaker dell’intesa , per credere: “Un governo non basta. Occorre superare steccati, pregiudizi e incomprensioni”. 

NEL GIORNO del trionfalismo, però va registrato l’addio di Calenda: “Mi sono dimesso dalla direzione, la mia tessera è scaduta e non la rinnoverò”, dice al Fatto Quotidiano. Subito l’annuncio per il nuovo movimento? “Ora devo elaborare il lutto”. 

Con Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e pure Richetti, l’interlocuzione è in corso da tempo. 

Zingaretti gli ha chiesto di ripensarci. 

Ma lui sta partendo sul territorio, sul modello dei comitati civici di Renzi. Nel nome dell’europeismo. Spiega il senatore modenese: “Questo governo rischia di essere un’operazione di profilo molto basso. Dove ciascuno pensa alle poltrone”. 

E ancora: “Ho detto no, per urlare il mio disagio: non c’è stata discussione in questa direzione, neanche in quella della scorsa settimana. E a luglio avevamo votato no all’accordo con i Cinque Stelle”. 

Assenti Matteo Renzi e Luca Lotti. L’ex premier non ha mai smesso di studiare le soluzioni per creare i suoi gruppi parlamentari, primo passo verso l’uscita dal Pd. Certo, la mossa di Calenda rischia di bruciarlo nell’idea di prendersi il centro. 

“Non so se questa nuova vita di Carlo da leader potrà funzionare”, si affretta infatti a dire. 

Oggi nella cabina di regia (quella vera) ci sono, oltre a Zingaretti, Dario Franceschini, Gentiloni, la De Micheli e Andrea Orlando. 

Trattandosi di Pd, non è mai chiaro quanto durerà.

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