Vi racconto qualche storia che più di ogni altra fa capire cosa è accaduto ieri in ufficio di presidenza della Camera dei deputati sui vitalizi degli ex parlamentari.
Ad esempio quella di Walter Veltroni, il fondatore del Partito democratico. Sapete a che età è andato in pensione? A 49 anni, il 20 luglio del 2004- non un’era geologica fa- quando nera sindaco di Roma. Da quel giorno ha potuto prendere un vitalizio mensile da 9.850,58 euro, oltre allo stipendio da sindaco della capitale che a quell’epoca valeva altrettanto.
Nel 2004 l’età pensionabile per gli italiani, grazie a una nuova modifica di legge approvata proprio quell’anno era salita a 65 anni. Veltroni non ha raggiunto quell’età nemmeno oggi (ha 63 anni), ma visto che era entrato in parlamento molti anni prima- nel 1987- si è portato dietro le regole dell’epoca e ha potuto riscuotere il vitalizio 16 anni prima di quello che la legge consentiva a tutti gli altri italiani.
Nel 2008 si è ricandidato in Parlamento, è entrato, il vitalizio gli è stato sospeso perché intanto prendeva l’indennità parlamentare e le due cose erano incompatibili. Dal 15 marzo 2013 il vitalizio è ripreso a correre. Ora Roberto Fico l’ha fatto ricalcolare per capire quanto a Veltroni spetta applicando anche a lui le regole valide per tutti gli altri italiani. Sull’età ormai è andata. La cifra giusta però è intorno ai 6.200 euro mensili, che è sempre una bella somma. E con la delibera di ieri da novembre Veltroni si vedrà alleggerito di 3.632,66 euro al mese.
Faccio un secondo esempio, con un nome magari non notissimo a gran parte degli italiani ma assai conosciuto ad Arezzo: Giuseppe Fornasari.
E’ un ex deputato democristiano, che fu alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta sottosegretario in due governi guidati da Giulio Andreotti. Fornasari, nato ad Arezzo il 26 ottobre del 1949, aveva quattro legislature alle spalle. Ed è andato in pensione il 23 aprile 1992, quando aveva appena 42 anni. Da quel giorno percepisce un vitalizio mensile di 8.455,34 euro. Con le regole che valgono per tutti gli altri italiani gli spetterebbero invece 2.382,68 euro al mese. Quello diventerà il suo vitalizio dal mese di novembre, dopo che Fornasari avrà già ricevuto di pensione la bellezza di 2 milioni e 680 mila euro da quel lontano giorno del 1992. Per altro l’ex dc che andò in onorevole pensione a 42 anni non restò con le mani in mano. Ha fatto anche altro, e per quest’altro è noto alle cronache nazionali: dal 2009 al 2014 è stato presidente della Banca popolare dell’Etruria e dell’Alto Lazio, e oggi si trova a processo per bancarotta fraudolenta.
Ma Fornasari non è il solo ex deputato ad essere diventato baby pensionato a quella età: a 42 anni ha ricevuto il suo primo vitalizio anche Giuseppe Gambale, e l’importo era identico: 8.455,34 euro la mese. Solo che l’assegno ha iniziato a correre dal 28 aprile 2006, in tempi assai più recenti. Anche a lui da novembre taglieranno 3.931,31 euro al mese. Ai due però ha soffiato il primato dei politici baby pensionati un altoatesino: Michl Ebner, che dopo 4 legislature ha riscosso il suo primo vitalizio da 8.455,34 euro mensile a partire dal 15 aprile 1994: aveva ancora 41 anni. Da ieri sa che l’assegno verrà tagliato di 5.466,55 euro al mese, e dovrà farsene una ragione.
Di storie così ce ne sono a bizzeffe perché nell’elenco dei vitalizi esaminato dall’ufficio di presidenza della Camera ci sono ben 307 ex andati in pensione da 55 anni in giù, e fra questi 85 da 50 anni in giù. Potreste trovare anche gente che era ricca e potente facendo altre professioni. Come Giancarlo Abete, industriale fratello del banchiere Luigi e già presidente della federazione italiana giuoco calcio: ha avuto il suo primo vitalizio a 50 anni nel 2000, e l’assegno mensile da allora è di 6.590,19 euro (gliene spetteranno ora circa 2.600). O Roberto Mazzotta, uno dei banchieri più potenti della prima e della seconda Repubblica, ex presidente della Cariplo e della Banca popolare di Milano: anche lui in pensione da deputato a 50 anni con 8 mila euro mensili invece dei 2.600 che ora gli spetteranno.
Tutti casi che raccontano di una decisione giusta presa da Fico & c. Perché la storia dei vitalizi parlamentari è piena di ingiustizie, come anche di gente che quell’assegno se l’è sudato, magari andando in pensione dopo i 70 anni e avendo alle spalle 40 anni e più da parlamentare. Infatti c’è qualcosa da criticare in quella delibera è la decisione di sterilizzare le somme che spetterebbero in più a questi: se si applicano le regole identiche agli altri italiani, è giusto farlo anche quando il vitalizio trasformato in pensione contributiva darebbe più di quel che oggi si percepisce.
A tutti quelli che strepitano sul diritto acquisito portato via, faccio una sola domanda da giornalista che si è occupato per anni di questa materia: mi fate vedere una legge, un decreto, un articolo della Costituzione che stabilisce quel diritto acquisito?
E resto senza risposta: perché nessuna norma nei codici italiani stabilisce il diritto al vitalizio e ne regola il calcolo. Hanno voluto fare tutto in segreto, all’interno di un comitato ristretto degli uffici di presidenza del Parlamento a metà anni Cinquanta, e non hanno mai reso pubblico cosa avevano deciso per se stessi.
Chi scrive ha chiesto mille volte di potere vedere quegli atti (che non hanno valore di legge), e la risposta è sempre stata negativa. In ogni caso se l’ufficio di presidenza potè dare i vitalizi, l’ufficio di presidenza oggi può cambiare la sua decisione, e gli unici ricorsi possibili sono al buon cuore di chi ha fatto quella scelta perché la magistratura ordinaria non può sindacarla.
Non solo: non essendo nè una legge costituzionale nè una legge ordinaria a stabilire il taglio dei vitalizi, la delibera Fico non ha alcun valore all’esterno della Camera e non può costituire precedente per altri pensionati. Cade così quell’arma impugnata da tanti ex, che dicevano: “vedete? Ora tagliano a noi, così poi taglieranno la pensione a tutti i cittadini”. Una disperata panzana.
Franco Bechis