Stralcio di un articolo di Luca De Carolis per Il FQ, 26-05-19
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Prima ipotesi: Matteo Salvini dilaga Il primo scenario è quello che raccontavano i sondaggi fino a un mese fa, con una Lega fortissima, ben sopra la soglia psicologica del 30 per cento.
C’è chi l’aveva data addirittura al 37 per cento (Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera, il 20 aprile). E se davvero Matteo Salvini si arrampicasse fin lassù, o comunque nei dintorni del 35 per cento, la tentazione di capitalizzare e andare a urne anticipate sarebbe fortissima, per l’ala dei veterani (i veneti, capeggiati da Luca Zaia, ma in fondo pure lo stesso Giorgetti) prima ancora che per il capo. Basterebbe unirsi a una Giorgia Meloni solida, al 4-5 per cento.
E magari a quel che resta di Forza Italia, anche se il problema non da poco resta Silvio Berlusconi, perché nella Lega sono convinti che tenerlo in coalizione toglierebbe voti anziché aggiungerne.
Però per i 5Stelle sarebbero comunque guai, perché una distanza sopra i 6-7 punti con i coinquilini di governo sarebbe una disfatta. Tale da permettere alla Lega di imporre i propri temi in agenda, dalle autonomie alla flat tax. Fino a minacciare per davvero la riscrittura del contratto.
Un pericolo per il M5S, visto che dentro il nuovo accordo la Lega vorrebbe infilare l’abolizione o la profonda revisione dell’abuso di ufficio e la separazione delle carriere per i magistrati. Mentre il Tav è già un maledetto nodo così com’è.
Secondo scenario: Lega sotto il 30, bene il M5S L’obiettivo non dichiarato ma notorio di Di Maio è il 25 per cento, la soglia di sicurezza per stare sopra il Pd e per non restare chilometri dietro il Carroccio.
E raggiungerlo sarebbe già salvezza, a meno che Salvini non prenda il già citato 35%. Ergo, la vittoria alla lotteria delle urne per il M5S sarebbe l’inverso, il Movimento molto sopra il 20 e la Lega molto sotto il 30, al 28 o giù di lì. L’ideale per frenare il Salvini che non vede l’ora di dare le carte.
Anche perché, come ha rimarcato non a caso Di Maio anche nel comizio conclusivo a Roma venerdì, “la maggioranza in Parlamento e in Consiglio dei ministri ce l’abbiamo noi 5Stelle”.
Quindi con un quasi pareggio nelle urne il Movimento potrebbe fare muro ai totem leghisti, dalle autonomie alla flat tax (già nell’attuale contratto). E per Salvini sarebbe quanto mai arduo reagire facendo saltare il banco.
Terzo scenario: catastrofe e sorpasso Pd. È quello che il neo segretario del Pd Nicola Zingaretti non oserebbe mai chiedere. Ossia la Lega ampiamente sotto il 30 e i dem sopra il Movimento, anche di un solo voto.
Abbastanza per far finire sulla graticola Di Maio, che ha gestito la corsa verso le urne senza delegare nulla a nessuno. Con cinque capolista esterne calate dall’alto, per l’ira degli europarlamentari uscenti, e una campagna tutta incentrata sulla sua figura, quella del leader. Per questo, un terzo posto sarebbe una catastrofe per Di Maio.
E il primo dazio da pagare sarebbe quello di dover delegare una rilevante fetta del suo potere, quello vero. Nella speranza di non farsi disarcionare dal ruolo di capo politico, blindato per Statuto: ma non si sa mai. Perché Alessandro Di Battista è riapparso con tanta voglia di tornare in gioco.
E il premier Giuseppe Conte a molti piacerebbe come alternativa.
E comunque l’unica certezza sarebbe un grave rischio per il governo, con un leader a pezzi e un altro, Salvini, sotto le aspettative. I due vicepremier, magari troppo deboli per rompere. O all’opposto, per sopravvivere.”