Editoriale di Marco Travaglio per Il FQ, 26-05-19
“Per dire come siamo ridotti, sui social e dunque sui giornaloni impazza un appassionante dibattito sul seguente tema: la sinistra (con la s minuscola) deve o no perdonare i compagni che avevano preferito i 5Stelle al Pd e oggi voteranno La Sinistra (con la L e la S maiuscola, che purtroppo non raggiungerà il quorum del 4%)?
Non sapendo chi detenga le chiavi della sinistra con la s minuscola, si è deciso di affidarle a due registi, Francesca Archibugi e Paolo Virzì.
La Archibugi è per “spalancare le braccia a tutti quelli che si erano schierati coi 5Stelle” e ora tornano all’ovile – Mannoia, Marescotti, De Masi, Giannuli & C. – perché, “come per le corna, la colpa non è solo di chi le mette”.
Cioè bisogna capire gli elettori di sinistra che nel 2016, tra Fassino e la Appendino a Torino scelsero quella più di sinistra, cioè la seconda;
tra Giachetti e la Raggi a Roma scelsero quella più di sinistra, cioè la seconda;
e nel 2018, fra il partito renziano del Jobs Act e della Confindustria e quello grillino del reddito di cittadinanza e della lotta al precariato, scelsero quello più di sinistra, cioè il secondo.
Virzì invece non transige, vuole prima le scuse dai compagni che, incuranti dei suoi moniti, hanno gravemente peccato: “Mi davano della Cassandra quando li mettevo in guardia: i 5Stelle sono fascisti! E purtroppo ho avuto ragione: sono fascisti per davvero! Ora abbiate il coraggio di dire che avevate voglia di fascismo, degli inni, delle marcette e delle canzonette”.
E chissà mai quando e dove Virzì – un fuoriclasse del cinema, uno dei nostri migliori registi – ha visto Di Maio spezzare le reni alla Grecia (anche volendo, ci aveva già pensato la mitica Europa), Di Battista intonare inni coloniali, Conte marciare al passo dell’oca in orbace, la Taverna arruolare le massaie rurali, Bonafede sfilare in camicia nera, Toninelli saltare nel cerchio di fuoco, Fico calcarsi il fez e salutare romanamente, la Appendino erudire le figlie della Lupa.
La Raggi, in effetti, si è circondata di fascisti: quelli che volevano linciarla a Casal Bruciato perché difendeva, sola rappresentante delle istituzioni e della politica, una famiglia rom e il suo diritto di abitare in una casa popolare regolarmente ottenuta.
Della sinistra ufficiale, quel giorno in quella periferia, non c’era traccia: Casal Bruciato è troppo distante dai Parioli. Infatti la Mannoia ricorda agli smemorati che le scuse toccano a “una sinistra che ha indotto tanti come me, anche sbagliando, a dirottare la speranza da un’altra parte”.
Idem Marescotti, De Masi e Giannuli, delusi dal patto M5S-Lega, ma proprio per questo sostenitori dell’“unica alternativa”.
E cioè “un’alleanza tra M5S, Pd e sinistra”. Che poi è quel che vanno ripetendo – voces clamantes in deserto–Cacciari, Monaco, Bersani e anche il Fatto.
Un’alternativa che, se Renzi e i suoi tremebondi oppositori interni non l’avessero sabotata un anno fa, sarebbe già realtà e ci avrebbe risparmiato dodici mesi di Salvini ministro dell’Interno. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, inquinata da nuovi veleni reciproci.
Dunque, siccome l’orizzonte giallo-verde è di pochi mesi, un anno al massimo, chi davvero non vuole Salvini (non perché sia Mussolini, ma perché è Salvini) dovrebbe lasciare che si sgonfi un altro po’al governo e intanto costruire quella benedetta alternativa.
Che può piacere o non piacere, ma è l’unica in grado di contrastare quel governo di centrodestra che, se oggi si votasse per le Politiche e non per le Europee, avrebbe la maggioranza assoluta del Parlamento e ci regalerebbe Salvini a Palazzo Chigi e B. alla Giustizia, senza più nessuno a frenare l’energumeno (anzi gli energumeni) dall’interno, come spesso fanno i 5Stelle.
Cioè farebbe rimpiangere il governo Conte anche a chi lo considera il peggio del peggio (“Fischiate il baritono? Sentirete il tenore”).
Come si costruisce l’alternativa?
Anzitutto evitando la ridicola pretesa di scegliere il leader altrui: non ha senso chi, a sinistra, dice “mai con Di Maio, sì a Fico” e chi, nei 5Stelle, dice “mai col Pd di Zingaretti”.
Ogni partito si sceglie il suo leader.
E le convergenze si misurano sulle cose da fare, non sulle simpatie personali (Virzì forse non lo sa, ma Zingaretti governa il Lazio grazie alla non-sfiducia programmatica del M5S; e in Piemonte Chiamparino sogna il voto disgiunto dei grillini per “battere la destra”, con cui domani tornerà a braccetto per dilapidare miliardi e avvelenare la Val Susa col Tav).
Ora, i 5Stelle hanno mille difetti, ma quel che vogliono è chiaro: in parte l’hanno fatto (coi voti della Lega), in parte intendono realizzarlo.
Dal salario minimo al blocco del Tav, dal carcere agli evasori a un piano di investimenti pubblici in opere utili. Tutta roba “di sinistra”, che ben difficilmente riusciranno ad approvare, specie se stasera usciranno troppo deboli e la Lega troppo forte.
Ma il Pd che vuole fare? Stasera canterà vittoria per qualche punticino che Zingaretti prenderà in più di Renzi, non tanto perché è Zingaretti, quanto perché non è Renzi.
E perché molta gente ha così paura di Salvini da pensare di fermarlo col Pd.
Ma, su programmi, strategie e alleanze è ancora nebbia fitta, come nello sketch di Crozza su Zinga, Calenda & Pisapia.
Da domani, tutti quelli che vogliono davvero fermare Salvini e fare subito qualcosa di buono per l’Italia subito, dovranno dimostrarlo. In Parlamento.
È lì che andranno discusse e approvate le riforme giuste (e bocciate quelle sbagliate), a prescindere dal derby maggioranza- opposizione.
Come per la violenza sessuale e il revenge porn.
Finita questa lunga, orrenda campagna elettorale, il salario minimo, il carcere agli evasori, il no alle opere inutili e il sì a quelle utili non saranno più un favore ai 5Stelle o al Pd, ma agli italiani.”