Editoriale di Marco Travaglio per Il FQ, 30-7-19
Domenica ero in Val di Susa, a Venaus, invitato dal Festival dell’Alta Felicità a presentare Perché No Tav. E tutti i leader del movimento mi hanno raccontato la stessa cosa: “Da quando Conte ha annunciato che il Tav si fa, non viviamo più: siamo assediati da decine di richieste di interviste da parte di giornalisti che fino all’altro ieri ci ignoravano o ci trattavano come dei mezzi terroristi. Ora improvvisamente vogliono parlare con noi, a patto che diciamo che i 5Stelle sono dei traditori”.
Nulla di nuovo sotto il sole: sabato Repubblica, da due anni organo ufficiale del Tav in concorrenza con gli altri giornaloni e giornalini, ha persino pubblicato un pezzo contrario di Gad Lerner, cosa che mai aveva fatto quando i 5Stelle combattevano da soli per far prevalere il no nella maggioranza.
Ancora una volta quella comunità profondamente democratica, che da trent’anni combatte contro tutto e contro tutti per la propria salute e la propria sopravvivenza, ha capito perfettamente il problema: se quello dei 5Stelle fosse un “tradimento” di gente che ha preso i voti dei No Tav e poi si è venduta al Partito degli Affari, sarebbe un’ottima notizia: basterebbe sputare in faccia ai traditori, sostituirli con gente incorruttibile e il problema sarebbe risolto.
La realtà è di gran lunga peggiore: quello dei 5Stelle sul Tav è un fallimento, una sconfitta culturale e mediatica, prim’ancora che politica. Ci hanno provato, fra mille errori e inadeguatezze, a dire almeno un no al dogma dell’Immacolata Costruzione e al Partito Preso, come li chiamava Adriano Sofri su Repubblica prima che il Partito Preso diventasse Partito Unico.
Ma non ci sono riusciti, soverchiati da una campagna di stampa a suon di fake news a reti ed edicole unificate che li ha schiacciati nel ruolo scomodo di nemici del progresso e addirittura dell’ambiente.
E ha contribuito alla loro débacle alle Europee: la buona e giusta causa No Tav non porta voti, anzi ne fa perdere, in un Paese disinformato e spaventato come il nostro.
Il M5S avrebbe dovuto capire come sarebbe finita già nel maggio 2018, quando imposero alla Lega di inserire nel Contratto di governo la cancellazione del Tav Torino-Lione. Dagli uffici del Quirinale arrivò subito l’ordine di modificare quel paragrafo, per non indispettire i francesi contestando il trattato bilaterale.
Così il no secco divenne una formula ben più ambigua e fumosa: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Che condizionava l’eventuale recesso al placet di Parigi.
Salvini, a tu per tu con Di Maio, si disse disponibile a sacrificare una delle grandi opere contestate dal M5S, a sua scelta. Di Maio scelse il Tav.
Salvini garantì la cancellazione: poi, al solito, fregò il presunto alleato, mettendosi al servizio del Partito degli Affari.
Esaltato da tutta la stampa di destra, di centro e di sinistra, compresa quella che finge di combatterlo dandogli del fascista.
A marzo, analisi costi-benefici (negativissima) alla mano, Conte tentò l’ultima carta, l’unica a sua disposizione in base al contratto: ridiscutere il Tav con Macron e Juncker, tentando di convincere i due partner e finanziatori dell’opera (Francia e Ue) ad accantonarla.
Ma, nei due colloqui bilaterali, entrambi gli sbatterono la porta in faccia. La Commissione Ue era ed è in scadenza: meglio lasciare la patata bollente alla nuova.
Quanto al governo francese, del Tav non potrebbe fregargliene di meno, tant’è che ha rinviato al 2038 la decisione se realizzare o meno la ferrovia di collegamento dal buco di Saint Jean de Maurienne e Lione; e per il buco (“tunnel di base”) non ha ancora stanziato un euro nel bilancio dello Stato: ma le amministrazioni locali de lla Savoia interessate alle “compensazioni ”premono perchè l’opera si faccia, o meglio per intascare un po’di fondi europei, tanto più che i francesi pagherebbero molto meno degli italiani.
Grazie ai governi Berlusconi e Gentiloni, cioè ai ministri gemelli Lunardi e Delrio, i 9,6 miliardi di costo preventivato per il buco di 57,5 km nelle Alpi verrà pagato per il 57,9% dall’Italia e solo per il 42,1 dalla Francia: un incredibile regalo ai francesi, visto che il tunnel insiste per l’80% sul loro territorio e solo per il 20 sul nostro.
Per questo Conte s’è arreso ai bandi di gara, dicendo che ora “fermare il Tav costa più che farlo”: lo sa anche lui che l’opera è in perdita per 7-8 miliardi (almeno 3 per l’Italia, e solo sui preventivi) e non ci conviene.
Ma, per bloccarla, stante l’indisponibilità di Parigi a rinnegare il trattato, occorre un voto del Parlamento italiano che lo disdetti unilateralmente. Altrimenti, se l’Ue ritira i finanziamenti e poi il Tav non si blocca, si rischiano azioni della Corte dei Conti per danno erariale.
A questo punto il voto del 7 agosto in Senato potrebbe non essere soltanto una sceneggiata dal l’esito scontato per salvare la faccia al M5S. Dipende dalle presenze in aula. Se gli assenti saranno pochi, ogni mozione verrà bocciata perchè nessun gruppo ha il 50% dei seggi.
Se invece le assenze vacanziere fossero parecchie, potrebbe passare la mozione No Tav dei 5Stelle (106 senatori), con qualche apporto da sinistra. Infatti la Lega ha già imbarcato FI per arrivare a 119 senatori, 13 più dei pentastellati.
Però il pd dissidente Tommaso Cerno, da sempre contrario al Tav e autore di ottimi reportage dalla Val Susa da inviato e poi da direttore dell’Espresso, annuncia oggi al Fatto che voterà col M5S.
Chissà che qualche pidino ecologista segua il suo esempio, ridando dignità alla fu sinistra.
Lo stesso si spera che facciano gli ex-5Stelle Nugnes e De Falco. E i 4 senatori di Leu.
Semprechè tengano più all’ambiente che alla Banda del Buco.