Stralcio di un articolo di D. Ranieri per Il FQ, 8-6-19
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“Lunedì nuova agenda”, “Vertice dopo settimane di gelo”, “Toninelli fuori gioco”(Corriere), “Siriparte ”, “Di Maio e Salvini: ricominciamo” (Repubblica), “Resa incondizionata all’alleato che mette in un angolo velleità di elezioni anticipate”, “Fitta agenda di temi made in Lega”, “ L’obiettivo di liberare il ministero di Porta Pia” (Messaggero), “Salvini incontra Di Maio e gli chiede di cacciare Toninelli” (Libero).
Ora, mentre è prevedibile che del Toninelli politico non si patirà troppo rimpianto, il Toninelli espiatorio diventa improvvisamente una figura di rilievo antropologico, che sta per sperimentare nel fuoco che lo avvolgerà la legge infallibile su cui si fonda ogni società: il Sistema premia i suoi servitori per i loro difetti e li punisce per i loro pregi.
Nel caso del ministro, di pregi se ne ricordano pochissimi (uno), ma ciò che conta è che nell’Italia mentale egli è sacrificabile non certo per i suoi tanti demeriti, ma per aver detto “no”, che è come bestemmiare in Chiesa, all’Immacolata Concezione del Tav, la Madre di tutte le Grandi Opere, l’inesistente fantasma adorato da tutti i potenti e loro affini, dai leghisti vecchi e da quelli nuovi, dalle madamine del Rotary ai benpensanti aristo-dem finto progressisti, dai berlusconiani e dai pidini, e persino, in questo sottoinsieme, da tutte le correnti del Pd all’unisono.
È indicativo che proprio sulle sorti di uno come Toninelli, opaco e dimenticabile, si giochi la tenuta del governo e si legga lo stato presente dei costumi degl’Italiani, scolpiti come in un bassorilievo nella persona e nelle parole di Salvini diligentemente riportate dai giornali fideisticamente pro-Tav: “Se qualcuno si è contraddistinto per la posizione contraria, per esempio, a opere e infrastrutture, non si vede come possa continuare come prima e nella stessa posizione”.
Infatti è chiaro a tutti che il Partitone del Sì, che ha ancora sullo stomaco l’unica analisi costi-benefici attendibile – a cui ha contrapposto contro-analisi senza numeri, apprezzamenti di principio, canti propiziatori e riti apotropaici – se ne strafrega delle imperdonabili lacune del ministro del M5S in fatto di infrastrutture.
La costruzione del gasdotto Tap a Melendugno in Puglia, che il M5S avversava e che poi ha dovuto accettare come “scelta dolorosa”(Di Maio) per via delle “penali per quasi 20 miliardi di euro”, interessa ormai solo ai pugliesi che si erano affidati al M5S, visto che tutti gli altri lo volevano fare (Pd e Forza Italia firmarono addirittura una nota congiunta al Parlamento europeo, l’anno scorso, in cui definivano il Tap “un progetto strategico per la sicurezza energetica de ll ’Italia e dell’Europa”, che “preserva l’ambiente e il territorio e non comporta rischi per la popolazione”).
La questione Ilva, su cui il M5S ha bruciato i suoi voti, la sua credibilità e forse qualcosa di più (il suo iniziale, non-statutario anelito di pulizia), viene usata solo per rinfacciare al movimento di essere come tutti gli altri, il che peraltro in certi ambienti è garanzia di successo.
FORMALMENTE, il rimpasto toccherebbe al presidente del Consiglio, che era in Vietnam mentre i sacerdoti-macellai si spartivano pezzi di Toninelli (e di Tav, e di Pil, e di Paese) in casa sua (“Il vero problema è Giuseppe Conte”, La Stampa);
il che aggiunge al rituale di purificazione un’ombra di contro-minaccia a Conte che ha tentato di fare il Padre, ma tirare in ballo Il ramo d’oro di Frazer per questo frangente storico pare davvero troppo.”