I Ricordi di Caterina, Luciano Odorisio

Superstizione con allegria

Non è vero, ma ci credo: oggi è venerdì, un giorno adatto a parlare di superstizione. Per fortuna non è venerdì 17, altrimenti sarebbero stati guai.

Da persona razionale, non sono superstiziosa. Almeno è ciò che affermo. Una spiegazione c’è: non condivido i riti scaramantici altrui, preferisco quelli della mia famiglia.

Andiamo con ordine.

Non si fa il letto in tre. Mia nonna inorridita mi scacciava se,  terza, mi avvicinavo ad aiutarla.

Sempre, a proposito del letto, guai a poggiarvi un cappello o i soldi!

Non ho mai capito il perché.

Il divieto di passare sotto una scala, è invece abbastanza logico. Se la scala dovesse scivolare, il malcapitato non se la passerebbe bene.

Se aprite un ombrello in casa, vi attendono disgrazie.

Già, l’ombrello aperto serve quando fuori piove, ma in casa piovono solo guai.

Vogliamo parlare del povero gatto nero che vi attraversava la strada? Guai in arrivo! Come quando si incontrava la donna gobba.

Il gobbo, invece,  portava fortuna: la prova del maschilismo imperante nella nostra società.

Ritengo che, con tutte queste precauzioni e divieti, i miei familiari fossero dei passaguai e si attrezzassero per allontanare le disgrazie.

Questi riti erano dunque difensivi, ma per una vita tranquilla serviva anche qualcosa di potente che portasse fortuna.

Ed ecco gli amuleti: il ferro di cavallo, il cornetto, il gobbo(lo scartellato). Una raccomandazione importante: questi oggetti dovevano essere ricevuti in dono. Se te li compravi, non funzionavano e portavano male.

In famiglia non avevamo l’abitudine di praticare riti scaramantici più complicati. Ci sembrava stregoneria, noi invece eravamo superstiziosi con allegria.

Quando iniziai l’università, mia madre mi regalò un gobbetto di avorio.

Lei prevedeva l’aspetto aleatorio di quegli esami in cui ti giocavi in pochi minuti un impegno di mesi.

Si favoleggiava del lancio dei libretti dalla finestra da parte di professori non proprio tolleranti o di altri, più gentili, “torni la prossima volta”, detto con un sorriso.

E ogni volta era sempre la prossima volta: si raccontava di studenti che per un esame non riuscivano a laurearsi.

Forse erano quelli che non conoscevano la leggenda del principe Sansevero : correva voce infatti che molti studenti non si fossero laureati per effetto della maledizione della Cappella Sansevero.

Sarà vero? Penso che sia una fantasiosa giustificazione di studenti poco volenterosi.

Il gobbetto, portato con me ad ogni esame, esercitò tutta la sua potenza ed ebbi ottimi risultati.

Gli effetti del gobbetto erano stati rafforzati da un mio personale rito scaramantico: indossare un vestito nuovo per ogni esame.

Ammetto che quest’ultimo non era previsto dalla tradizione, ma era solo un pretesto modaiolo.  Funzionò.

Mia madre, dopo sogni premonitori, giocava i numeri al lotto e non vinceva mai, a meno che non giocasse per aiutare qualche familiare. La cosa è acclarata: fece vincite importanti in occasione di spese per il matrimonio di una sorella, per la prima comunione di mio fratello, per le nostre vacanze.
A pensarci ora, mia madre spesso inventava storie e forse le vincite non c’erano. Quei soldi erano frutto dei suoi risparmi, che donava generosamente.
Infatti quando le giocavo i numeri, non vinceva mai e
decise di rivolgersi a mio marito, ben più fortunato di me.
Le cose non cambiarono, ma lei insisteva:
“Tu non ci credi e i numeri si vendicano. Perciò non escono.”

Ora il mio gobbetto non mi serve più,  finalizzato com’era ai risultati degli esami, ed è conservato in una scatolina.

Intanto adoro indossare il colore viola, aborrito dalla gente di teatro. Ma io non ho fatto l’attrice.
Dato il periodo pasquale,  vi invito ad ammirare il meraviglioso Cristo velato nella Cappella Sansevero. Sempre che non siate iscritti all’università!


Caterina Abbate

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Sono un po' strega perché ebbi la sorte di nascere a Benevento, ma sono e sarò sempre una ragazza degli anni Sessanta. Per tutto quello che ciò significa.

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