di Selvaggia Lucarelli per Il FQ. 6-6-19
“Ci sono vite appese a un filo, come quella di Noa. E notizie che dovrebbero rimanere legate, saldamente, alla verità. Perché l’eutanasia è un tema tortuoso e raccontarlo come il capriccio di una ragazza triste, incapace di reagire a un trauma, è una distorsione presuntuosa della realtà, tipica di chi crede che l’animo umano sia un acquario, trasparente e circoscritto.
Perché non è vero che Noa sia morta con l’impassibile complicità del suo Paese, l’Olanda.
Non è una storia di eutanasia legale, quella di Noa, sebbene in tanti, sull’onda dell’emotività e talvolta di una cattiva fede di quelle che fanno comodo, di questi tempi, abbiano raccontato che sia andata così.
Non è andata così.
La diciassettenne Noa era reduce da una serie di abusi sessuali e prima ancora di voler smettere di vivere, aveva smesso di sopravvivere. Lo aveva scritto lei stessa, in un doloroso messaggio sulla sua pagina Instagram, pochi giorni prima di andarsene:
“È finita, non ero viva da troppo tempo, sopravvivevo e ora non faccio più neanche quello. Respiro ancora, ma non sono più viva”.
Depressione, psicologi, elettroshock, alimentazione forzata tramite coma farmacologico, Noa e chi amava questa ragazza sottile, frangibile come quel filo che la legava blandamente alla vita, le avevano tentate tutte.
Lei però non trovava pace né sollievo. Sentiva che la vita era un carico troppo gravoso da sopportare e che non si esiste respirando e basta. Aveva chiesto al suo Paese di consentirle l’eutanasia legale, ma le era stata rifiutata.
Lo raccontava nel suo libro, uscito nel 2018: “La domanda è stata rifiutata perché sono troppo giovane e avrei dovuto affrontare un percorso di recupero dal trauma psichico fino a 21 anni. Ritengono che sia molto giovane, che debba terminare il trattamento psicologico finché il mio cervello non sarà completamente sviluppato. Non succederà fino all’età di 21 anni. Sono distrutta perché non posso aspettare così a lungo”.
QUINDI NO, non c’è stata una mano fredda e burocratica a staccare la spina.
Quella spina l’ha staccata la mano diafana di una ragazza che aveva smesso di nutrirsi e di bere, una ragazza abbracciata fino alla fine dai suoi familiari, inermi di fronte a quella tenace volontà di morire.
“Amore è lasciare andare”, aveva scritto Noa.
E ha fatto bene Marco Cappato ad arrabbiarsi per una notizia riportata in modo errato o equivoco soprattutto in Italia e in Inghilterra.
“Noa ha smesso di mangiare e bere. Significa lasciarsi morire ed è legale anche in Italia. L’eutanasia non c’entra.”, ha dichiarato su twitter.
Peccato che il Papa, un’ora dopo, abbia twittato: “L’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”.
Nessuno aveva abbandonato Noa.
Noa se ne è andata nella sua casa, circondata dall’amore dei suoi familiari. Nessuno si era arreso.
L’accettazione è amore, non è resa.
Nessuno aveva smesso di prendersi cura di lei, chi la amava non poteva nutrirsi e idratarsi al posto suo. E nessuno, purtroppo, poteva restituire la speranza a una giovane ragazza che, cristianamente parlando e malgrado quello che pensa il papa, aveva accettato la sua croce.
L’aveva accettata così profondamente da ritenerla un prolungamento di sé, non una zavorra passeggera di cui si sarebbe liberata. Per questo la scelta di Noa è stata solo di Noa e in fondo è perfino inesatto chiamarla “scelta”: è stata la sua croce a decidere per lei.”