di Andrea Scanzi per Il FQ, 11-6-19
“Dopo aver patito una sconfitta oltre modo straziante, Il vice presidente del consiglio più odiato dai media nella storia della Repubblica (e sì che ce ne sono stati di peggiori) pare ancora frastornato.
Luigi Di Maio non è l’unico colpevole del disastro totale alle Europee, ma – in quanto leader – le responsabilità sono ricadute quasi tutte su di lui.
Ci ha messo senz’altro del suo. Si è creduto Adenauer prendendosi 4 ruoli (vicepremier, due volte ministro e capopartito). Non ha avuto misura, parendo prima troppo sussiegoso con Salvini e poi platealmente ribelle.
Si è coperto di ridicolo con le sceneggiate del balcone e della “santa teca” con la tessera numero 1 del reddito di cittadinanza. Ha attaccato (senza mai dirlo apertamente, che è pure peggio) la Raggi che aveva visitato la famiglia rom a Casal Bruciato.
E ha avallato l’osceno salvataggio di Salvini sulla Diciotti, lasciando pi- latescamente che a decidere fosse la “base”. Dopo il calvario inaudito del 26 maggio, Di Maio sembra sempre uno che insegue Salvini. Come e più di prima.
Un po’ è la stampa che vuole raccontarlo così, ma un po’ sono anche i numeri che danno ora al leader della Lega una posizione di dominio. Di Maio è stato poi bravo nel telefonare per primo a Salvini, ma la cosa grave è che i due non si siano parlati per mesi come bambini dell’asilo.
Ormai Conte lo ha superato in forza ed efficacia: se ancora il Salvimaio dà l’illusione di esistere (per me dal 26 maggio è solo “postumo in vita”), dipende dal discorso di Conte del 27 maggio, zimbellato dagli stessi fenomeni che fino a ieri incensavano i Gentiloni e oggi alimentano la finzione secondo cui l’ineffabile Zinga abbia vinto le Europee (come no: ha preso persino meno voti di Renzi nel 2018).
DI MAIO HA SOTTOVALUTATO i tanti se- gnali che dovevano fargli capire come i delusi dai 5 Stelle fossero tanti: chi li ha votati nel 2018 è anche (soprattutto?) gente che crede che la politica sia una cosa seria.
E in quanto seria, non possa coabitare con i Pillon e i Fontana.
Ogni volta che glielo facevi notare, lui minimizzava: “I sondaggi ci hanno sempre sottovalutato”.
Certo: come nel 2014 (anzi peggio). Ora che l’altro lo sovrasta, Di Maio può sperare nella liquidità del voto odierno: ci vuol poco per essere innalzati e ancor me- no per esser disarcionati, come dimostra la comica tumulazione subitanea del renzismo.
Forse accadrà pure a Salvini, che però vale cento volte Renzi. Affidarsi alla cabala è però un po’ poco per ripartire.
Così, dopo aver vinto nella maniera più complicata (senza cioè poter governare da solo) e dopo aver varato l’unico governo possibile (complice lo scellerato comportamento-popcorn del Pd), Di Maio allude adesso per la milionesima volta a “ristrutturazioni” per poi alzare ogni tanto giustamente la voce (Whirlpool) sperando che qualcuno lo senta. Ma dà sempre la sensazione di inseguire Salvini (anche sulla belinata dei mini-bot).
Le strade sono due.
La primaè far saltare il banco su un tema dirimente per il M5S: Tav, autonomia, giustizia. Significherebbe recuperare consensi, ma vorrebbe anche dire addio per sempre al governo (e al Parlamento, nel caso suo e di molti peones grillini).
La secondastrada è stata perfettamente riassunta da Peter Gomez: “Il M5S ha un’unica possibilità. Stare lì, sperare che in cinque anni ci sia una ripresa economica e dire che è grazie a loro. Non hanno alternative: sono lì e devono pedalare”. Per dirla con gli scommettitori, Di Maio ha davanti una prospettiva lose lose: come si muove, perde. Rialzarsi, per lui e il M5S, non sarà per niente facile.”