Luciano Odorisio, Politica

Scanzi: Zingaretti, “un forte rumore di niente”…

di Andrea Scanzi per Il FQ, 9-6.20

“Babbo c’è un imbianchino vestito di nuovo/ C’è la pelle di un vecchio serpente/ Appena uscita da un uovo/ E c’è un forte rumore di niente/ Un forte rumore di niente…”. 

Sono parole, magistrali, di Francesco De Gregori. È improbabile che nel vergarle pensasse a Zingaretti (Nicola), ma l’immagine “rumore di niente”lo racconta appieno. 

E non è neanche detto che sia per forza un male, tenendo conto della cacofonia perdurante che caratterizza le mosse di Salvini e Renzi. 

FORSE PERÒ ZINGARETTI insegue sin troppo il minimalismo. Vien sempre da domandarsi, le rare volte in cui ci si ricorda che Zingaretti è davvero il segretario del Partito democratico, cosa mai passi per la testa del governatore del Lazio. 

Ieri, nella relazione alla direzione, l’ineffabile Zinga è tornato a parlare. 

I passaggi più forti sono anche stati i più fumosi, e anche questo è normale perché Zingaretti è tipo da non dire niente anche quando dice tutto (e viceversa). 

“Bene gli Stati generali, ma attenzione al rispetto dei tempi certi”è la classica frase che non vuol dire nulla. 

Così come l’allusione al bivio tra “un’Italietta e un nuovo modello di sviluppo”. 

Scontata pure l’affermazione “fondamentale la lotta alle disuguaglianze”. 

Quindi l’ineffabile Zinga ha parlato a vuoto? 

Sì e no. 

In primo luogo, ha (a suo modo) blindato il governo. Lo ha fatto dando l’impressione di apprezzare ancora Conte, ma più che altro constatando come non ci siano al momento alternative praticabili. 

Come a dire: l’entusiasmo è altrove, ma questo passa il convento. Che è poi quel che pensano anche i 5 Stelle. 

Zingaretti ha parlato di  “necessità per tutti di un salto di qualità”e di una  “decisiva svolta”da imprimere “con gli alleati”, perché  “siamo a un momento cruciale in cui si giocano i destini della legislatura e il futuro”. 

Siamo sempre nel regno dell’ovvio travestito da quasi rivoluzione, uno dei  nowhere  preferiti dal segretario Pd. 

Zingaretti ha però indovinato due passaggi. Il primo è stato questo:  “So quante difficoltà abbiamo dovuto affrontare nel rapporto con gli alleati e soprattutto con il M5S, restano temi spinosi in cui le posizioni restano lontane come la giustizia e un certo fondamentalismo su temi come l’economia e la giustizia, ma nel governo è prevalso un approccio nuovo e certe barriere si sono incrinate. Noi abbiamo fatto prevalere il rapporto con l’Ue e in quella sede ci siamo presentati uniti”. 

Un passaggio chiave, che ha verosimilmente ispirato il secondo rivolto proprio al M5S:  “Non ostacolate nei territori le alleanze che si potrebbero creare, l’obiettivo è battere le destre. Se siamo qui, non travolti dalla demagogia populista della destra, è perché abbiamo fatto la scelta di dare vita a questo governo Conte, tentando una strada fatta di alleanze tutte nuove. Se non avessimo fatto questa scelta avremmo avuto un governo di destra presieduto da Salvini, e vi lascio immaginare in quale isolamento l’Italia si sarebbe trovata. Probabilmente non avremmo ottenuto nulla dall’Europa”. 

È qui che Zingaretti risulta impeccabile e costringe il M5S a una risposta inequivocabile: ferme restando le differenze talora marcate tra Pd e 5Stelle, di fronte a una destra quasi sempre becera e irricevibile, voi da che parte state? 

Se il M5S risponderà no a prescindere, regalerà il Paese a Salvini. 

Se il M5S accetterà senza fiatare l’alleanza ovunque, si snaturerà e morirà. 

Ma se costringerà a sua volta il Pd a svecchiarsi anche a livello locale, liberandosi di trasformisti e carampane, allora sarà un  win win. 

E Salvini proseguirà nella sua esaltante erosione di consensi.

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