di Andrea Scanzi per il FQ, 4-10-19
Il Movimento 5 Stelle compie 10 anni, durante i quali tante cose sono cambiate e tante no.
Resta per esempio immutabile il fatto che, agli occhi di quasi tutti i media, il M5S abbia a prescindere la peste.
Era così anche nel 2005, quando il Movimento non esisteva ma il blog di Beppe Grillo era appena nato.
E più ancora nel 2007 e 2008 con i primi due V-Day.
La stampa, fatte salve rare eccezioni, non ci capì nulla e cadde dal pero. Da qui gli attacchi scriteriati a un nascente movimento definito demente e fascista, ignorante e sfascista, deficiente e qualunquista.
IN DIECI ANNI non è cambiata neanche la propensione a ritenere sempre in punto di morte il M5S, visto ai suoi albori come una sorta di riedizione dell’Uomo Qualunque.
I 5 Stelle erano morti dopo lo streaming orrendo di Crimi e Lombardi; erano morti dopo la Waterloo delle Europee 2014, arrivata dopo il ridicolo mantra “vinciamo noi”; erano morti con l’avvento del nostro scontento di Renzi, che giocava al “più grillino dei grillini” e ovviamente gli ha regalato milioni di voti, perché in confronto a lui è preferibile pure una colica di reni.
Ed erano morti – stavolta sul serio – dopo l’abbraccio con Salvini, che al gover- no non ha fatto quasi nulla, ma che gli ha sottratto linfa vitale giocan- dosi benissimo tutte le carte mediatiche che aveva.
Il M5S è stato a un passo dalla decomposizione dopo la sberla delle Europee 2019 e gli osceni mesi successivi, du- rante i quali – per il terrore che la Lega staccasse la spina – si erano ridotti ad accettare tutto.
Uno spettacolo inverecondo e vile. Il Dittatore dello Stato Libero di Papeete, col suo autogol fantozziano, gli ha ridato clamorosamente vita. Per questo, invece di avere sempre la faccia del marito cornuto, Di Maio dovrebbe far cortei per quel tradimento.
Nei dieci anni dei 5 Stelle, vissuti non senza trionfi inauditi (le Politiche di 2013 e 2018, Roma, Torino), non è cambiata neanche quella spocchia grillina di chi si sente unico onesto in mezzo a una selva purulenta di masserizia politica.
E men che meno è mutata la (non) selezione della classe dirigente, affidata pressoché unicamente al caso: se hai fortuna becchi quello bravo, se ti va male son dolori.
Da qui la galassia di parlamentari improbabili, che a volte finiscono addirittura al governo e – più spesso – fan di tutto per farsi buttare fuori, recitando poi la parte patetica del martire epurato.
Tante altre cose sono invece cambiate. La scomparsa di Gianroberto Casaleggio.
Il no alla ti-vù, che ovviamente è caduto subito.
Il limite dei due mandati, per ora saltato solo nei comuni attraverso la trovata aritmeticamente empia del “mandato zero”.
Soprattutto: il no alle alleanze.
È stato un obbligo e una scelta. Un obbligo, perché non avendo i numeri per governare da soli non potevano che dialogare con Pd o Lega: lo avevano detto mille volte prima del 4 marzo e in questo non c’è alcun “tradimento” o “trasformismo”, perché i 5 Stelle nascono post-ideologici e dunque geneticamente promiscui.
Ma è stata anche una scelta, perché con il Pd si è andati oltre: ad esempio in Umbria, e forse più avanti anche in Calabria ed Emilia Romagna.
Una mossa coraggiosa e intelligente, che però ha fatto inalberare tanto i massimalisti (gli stessi magari che su Rousseau salvarono vergognosamente Salvini sulla Diciotti) quanto gli anti-grillini di professione, secondo i quali i 5 Stelle han torto tanto se stanno con Salvini quanto se stanno con Zingaretti.
È la famosa “teoria Antoine”: “sei buono e ti tirano le pietre, sei cattivo e ti tirano le pietre”.
Così: a prescindere.
IL M5S FESTEGGIA i suoi primi dieci anni né da moribondo né da trionfante: da sopravvivente, piuttosto. Da convalescente che se ne sta – quasi controvoglia – al governo.
Forse prossimo a guarire e forse no.