di Selvaggia Lucarelli per Il FQ, 15-05-20
di SELVAGGIA LUCARELLI per IlFQ 15-05-2020
“Io so cosa succede dopo un rilascio. Avrebbero dovuto proteggerla da tutto questo”
Silvia Melis, stesso nome della cooperante tornata a casa dopo i 18 mesi di prigionia tra Kenya e Somalia, vittima anche lei di un sequestro che durò 9 mesi nel 1997 in Sardegna, conosce il corto circuito feroce in cui dopo la liberazione può finire una donna.
Lo conosce perché all’epoca, qualcosa di molto simile toccò a lei, dopo quella notte in cui fu ritrovata sul ciglio della strada, vicino Nuoro: giudizi sul suo aspetto, sul suo essere donna, la pressione mediatica, il mondo ritrovato che diventa ostile, all’improvviso. “Un sequestro in Italia non è un sequestro all’estero e la Romano è rimasta prigioniera per il doppio del tempo rispetto a me, quindi le nostre vicende non sono paragonabili sotto certi aspetti, ma ci sono dei punti di contatto forti. Il primo è l’esposizione mediatica, che dopo un sequestro è un problema per il sequestrato”.
Cosa accadde nel suo caso?
Il mio fu il primo caso di attenzione con quelle proporzioni. Io dopo la liberazione non mi aspettavo nulla di tutto quello che invece mi attendeva. Non fui capace di gestire nulla, di contenere le reazioni dell’opinione pubblica. Chi ha riportato Silvia a casa però ha un ruolo ed esperienza, doveva proteggerla di più.
In che modo?
Andava evitata l’esposizione mediatica. Io mi ritrovai catapultata in un attimo in una que- stura con persone che mi dicevano “Ti passo il Tg5, ti passo il presidente della Repubblica”, non capivo niente.
Dici che invece per Silvia c’è stato più tempo.
Nel caso di questa povera ragazza c’è stato un passaggio di ore molto più lungo, un viaggio in aereo, non era necessaria un’esposizione simile.
Forse l’aspetto più grave è che siano uscite le sue dichiarazioni sulla conversione.
Guardi, l’interrogatorio esce sempre. Lo dico per esperienza personale. Io alla fine avevo imposto che per tutelare le indagini fossi sentita solo da alcune persone di cui mi fidavo.
A lei cosa fece più male?
Quello che per Silvia è stato l’abito, per me fu il desiderio di apparire ordinata in pubblico. Volli aggiustarmi, lavarmi, truccarmi nella stanza della questura, visto che ero in una situazione disastrosa, non mi ero lavata per mesi. Lo feci più perché mi sentivo impaurita e insicura all’idea di tutti quelli che mi aspettavano fuori, ma questo mio essere “carina” do- po 9 mesi di sequestro mi attirò critiche ferocissime anche da parte della stampa. Molti dubi- tarono anche della prigionia.
Scrissero che aveva le sopracciglia troppo curate.
Esatto. Notarono anche quello.
Quanto le stettero addosso i media?
Io non avevo ancora visto mio figlio e continuavano a passarmi giornalisti di ogni tv e giornali. Nel frattempo in questura mi facevano le domande, tra un tè e una telefonata. Un delirio.
S. Lucarelli: L’altra Silvia: “Offesa pure perchè bella”
Certo. Ero una donna giovane, spensierata, piena di vita. Volevo tornare alla mia vita, in quei nove mesi di prigionia avevo programmato tutto quello che avrei fatto dopo la liberazione.
E questo è stato un problema?
Sì. Si aspettavano una donna distrutta. E invece no, ero come Silvia Romano che ho visto carina e sorridente. Io che ci sono passata dico che non c’è da stupirsi.
Perché?
Perché dopo quello che hai passato vedi tanta gente che si interessa a te, che si è preoccupata della tua sorte, che ti ha voluto bene, che ha pregato per te e sorridi. Vieni a sapere che ci sono state manifestazioni per te, è la prima luce dopo tanto buio.
Quanto dura questo stato?
Poco. Perché poi torni alla realtà e fai i conti con il resto di cui parlavamo.
Cosa resta dopo le attenzioni morbose e i giudizi?
Una grossa paura nei confronti dei media sicuramente. Io i primi tempi dopo la liberazione mi sono concessa alla tv, ho rilasciato interviste e fatto servizi fotografici, ma poi ho capito che tutto questo non mi stava facendo bene. Dovevo tornare alla mia vita.
L’ha addolorata tutto questo odio intorno a Sil- via?
Sì. Ho cercato di seguire l’evoluzione della cosa il meno possibile perché per ovvie ragioni tendo a immedesimarmi, ho avuto la mia ora di riflessione in silenzio.
Si poteva fare di più per aiutarla?
Aveva intorno persone capaci, dovevano agire in maniera più riservata e risparmiarle tutto questo.
È normale che non parli male dei sui carcerieri?
Anche io non fui trattata male e non parlai male dei miei carcerieri, ma certo avevo le idee molto chiare: volevo che li arrestassero.
Sulla liberazione della Romano c’è stata inevitabilmente molta strumentalizzazione politica. Accadde anche nel suo caso.
Certo. C’era Grauso che doveva candidarsi alle Regionali e dichiarò anche che il suo obiettivo era la mia liberazione e quella di altri perché voleva vincere le elezioni.
Cosa vuole dire a Silvia Romano?
Di pensare al suo futuro. Di farsi scivolare addosso l’odio, perché tanto si dimenticheranno in fretta di lei come è stato per me. Io mi sono sentita a lungo in colpa per quello che dicevano di me. È bene prendere le distanze dai giudizi fin da subito, tanto arriverà un nuovo caso mediatico di cui occuparsi.
Ma lei si è sentita a lungo in colpa perché si era sistemata i capelli in quel bagno della questura?
Sì, per tutto, ho pensato di essere stata vanitosa, poco riservata, mi immedesimavo nel ruolo dell’eroina. Consiglio a Silvia di evitare l’esposizione di qualsiasi tipo finché non sarà serena davvero.
Era arrabbiata con i giornalisti?
I giornalisti sono stati anche quelli che hanno tenuto alta l’attenzione mentre ero prigioniera, non lo dimenticherò mai, ma spesso finiscono per fare indagini e processi paralleli.
Dopo quanto tempo è riuscita a dormire di nuovo?
Io mi ritrovai prima a casa di Grauso, poi lì mi sentivo rinchiusa e ottenni di poter andare a Parigi a EuroDisney con mio figlio. Feci un’ospitata a Esclusivo 5 e finalmente tornai a casa. La mia normalità sa quando l’ho ritrovata?
Quando?
Dopo la mia prima testimonianza al processo. Perché solo in quel momento ho sentito che gli altri finalmente ascoltavano quello che mi era accaduto, senza pregiudizi.
Sulle sopracciglia?
Anche.