Invito al dibattito, è proprio così? La verità, vi prego 🙂
Stralcio di un articolo di Patrizia De Rubertis per Il FQ, 14-6-19
“(…) L’IRA dei Cinque Stelle è palpabile. “Secondo noi è una cosa gravissima, di cui la Lega dovrà risponderne davanti ai cittadini”, tuona su Facebook il vicepremier Luigi Di Maio.
Che ricorda all’alleato di governo di “aver appoggiato u n’indecente proposta del Pd”. Poi a finire nel mirino del vicepremier è Laura Boldrini, colpevole di aver gioito “per aver regalato altri milioni di euro delle nostre tasse a una radio privata e di partito”.
La linea M5S, contraria da sempre ai finanziamenti pubblici, prevedeva solo lo stanziamento di 1 milione di euro nel triennio per la conversione in digitale e la conservazione degli archivi multimediali, vincolandoli a un uso pubblico.
Che di fatto avrebbe spento Radio Radicale. Ma a un Matteo Salvini che ha ribadito che “non si cancella l’esistenza di una radio con un emendamento e con un tratto di penna”, risponde un astioso Vito Crimi, sottosegretario Cinque Stelle con delega all’editoria: “Sono soldi dei cittadini che vanno nelle casse di una radio di partito.
I principi della campagna elettorale si rispettano”. Fino allo scorso anno Radio Radicale poteva contare sui 10 milioni di euro lordi garantiti dalla convenzione con lo Stato – che dura dal 1994 e il cui decreto legge, mai convertito, è stato rinnovato 17 volte in 25 anni portando nelle casse dell’emittente un totale di 250 milioni di euro – e sui 4 milioni che ottiene ogni anno dal fondo per l’editoria.
Da quest’anno, invece, sulla radio fondata da Marco Pannella nel 1976 si è abbattuta una doppia mannaia: la convenzione, scaduta lo scorso 21 maggio, non è stata rinnovata ed è anche scattato il taglio dei finanziamenti dell’editoria.
ORA, PER IL 2019,Radio Radicale avrà come entrate solo 5 milioni di euro lordi assicurati dalla convenzione per il primo semestre (e che non sono stati ancora incassati), più i 4 milioni dal fondo per l’editoria.
Che, però, incasserà solo nel 2020. Più i 3 milioni stanziati con il dl Crescita. I conti della radio sono però tutt’altro che al sicuro: le casse sono vuote e i fondi che arriveranno l’anno prossimo sono stati già anticipati (e spesi) dalle banche, a cui la radio dovrà restituire anche gli interessi.
Ma l’ad della radio, Paolo Chiarelli, assicura che “per il momento i 52 dipendenti, tra cui 20 giornalisti, non corrono pericoli”. E, rispondendo anche a chi sostiene che i suoi giornalisti guadagnino più di 100 mila euro all’anno, risponde che “ la media è di 2.000-2.500 euro netti”.
“Solo il direttore e io – sottolinea – guadagniamo poco più di 100mila euro lordi, circa un terzo di quanto percepiscono i dirigenti Rai”.
La sopravvivenza della radio resta, quindi, appesa alla possibilità di partecipare alla nuova convenzione per la trasmissione delle sedute parlamentari che il governo in autunno dovrà mettere a gara, come ha previsto il governo gialloverde prima che andasse in scena l’ultima spaccatura.
Ma anche in questo caso la soluzione è lontana.
FINO A OGGI l’unica convenzione, datata 1994, è stata cucita addosso a Radio Radicale. Il testo prevede, infatti, l’obbligo di trasmettere nel corso dell’anno almeno il 60% delle sedute delle due Camere nella fascia oraria che va dalle 8 alle 21, di non trasmettere nessuna pubblicità e la copertura dell’85% delle Regioni.
“Si tratta, insomma, di una norma che di fatto ha tagliato le gambe a tutte le altre emittenti e che, a suon di milioni di euro pubblici, ha permesso a Radio Radicale di acquisire spazi e tecnologie, trasformandosi in un unicum inarrivabile. Questo limita la concorrenza”, spiega Crimi al Fatto. Che ora si augura di poter scrivere il nuovo testo di legge che autorizzi il ministero dello Sviluppo economico o la presidenza del Consiglio a stipulare la convenzione che annullerà il vantaggio di radio Radicale.
“Vorrei –dice Crimi –che non venissero inseriti dei requisiti preventivi che può vantare solo Radio Radicale. Ma che queste competenze possano essere acquisite nel corso degli anni, come è stato permesso a Radio radicale, grazie ai finanziamenti pubblici”.
Ma per il sottosegretario M5S la soluzione è a portata di mano: “Basta istituzionalizzare il servizio fornito da Rai Gr Parlamento che, a costo zero (viene già sovvenzionato con il canone, n dr), fornirebbe anche un servizio più completo fornendo sia la trasmissione delle sedute per radio che per televisione”.
Toccherà invece al governo, strappi permettendo, gestire la partita della conversione in digitale e la conservazione degli archivi di Radio Radicale come previsto dalla mozione bipartisan votata al Senato lo scorso 11 giugno.”
E il mitico Diego Fusaro: