Di Alessandro Orsini per IlFQ 25-03-2022
La guerra in Ucraina rischia di provocare un nuovo cambiamento epocale, con il passaggio dalla cultura della pace alla cultura della guerra. Uno dei miei obiettivi è di richiamare l’attenzione su questo pericolo imminente.
Oggi ricevo la notizia che la Rai ha deciso di rescindere il mio contratto stipulato per sei puntate con Cartabianca per le mie analisi sulla guerra in Ucraina. Molte altre trasmissioni di informazione mi avevano offerto compensi ben superiori a quello della Rai.
Ho scelto Bianca Berlinguer perché penso che sia una garanzia di libertà. Questa libertà va difesa.
Per questo motivo, ho annunciato di essere pronto a partecipare alla trasmissione di Bianca Berlinguer gratuitamente. In queste settimane, i principali organi di informazione mi hanno attribuito frasi e pensieri non miei. Non è necessario che chiarisca le mie tesi in questa sede.
I lettori sono nella condizione di porre a confronto ciò che ho detto realmente in televisione con le falsificazioni diffuse da alcune tra le firme più (im)potenti del giornalismo italiano.
Vorrei, invece, sollevare alcuni problemi fondamentali relativi alla libertà di espressione in Italia in materia di sicurezza internazionale.
IN PRIMO LUOGO, i principali think tank italiani rispondono più alle logiche di partito che alla logica dell’indagine scientifico-sociale. La compenetrazione tra il potere politico-economico e i centri di ricerca sulla sicurezza internazionale fa sì che, in Italia, pochi conducano la critica della politica internazionale.
La socializzazione di base nei think tank filo-governativi prevede che un giovane analista impari a dire che il prezzo del gas è salito o che Putin ha lanciato un nuovo missile. Sono pochi coloro che spiegano le cause na- scoste dei conflitti internazionali o che si interrogano sulle forze profonde che muovono le decisioni dei governi.
Oggi è obbligatorio dire che Putin è cattivo e Biden è buono.
Ma nessuna società può liberarsi dalle distorsioni del potere avvalendosi di analisi sulla sicurezza internazionale di tal fatta. I finanziamenti del go- verno alla ricerca van- no benissimo. Nessuno dovrebbe mai vergognarsi di riceverli.
Il problema si pone se quei finanziamenti creano schiere di analisti senza libertà costretti a temere per il posto di lavoro davanti alla più piccola critica verso le decisioni del governo. Il liberalismo nasce per proteggere i possidenti dallo strapotere dello Stato e il socialismo ha diffuso questa protezione in tutti gli strati della popolazione.
Nessuno dovrebbe avere paura che lo Stato intervenga sui programmi televisivi in una società libera. Eppure, accade.
UN ESEMPIO DI CRITICA della politica internazionale è spiegare che l’Occidente ha attaccato gli interessi di Putin in Iraq, Siria, Libia, Iran, Ve- nezuela, Ucraina, Georgia, e che ha sottovalutato tutti i segnali di guerra provenienti dalla Russia.
Un altro esempio di critica della politica internazionale è chiarire che, se Putin cadrà in una condizione disperata in Ucraina, userà la bomba atomica contro quel Paese martoriato. Il che crea un paradosso: per ogni battaglia persa da Putin, siamo obbligati a preoccuparci di più e non di meno giacché le sconfitte russe ci avvicinano all’arma nucleare.
Questo non è tifare per Putin; prevedere le sue mosse non significa approvarle. Significa, ben diversamente, ragionare criticamente per aiutare le persone a comprendere la complessità della tragedia caduta sulle nostre spalle.
Tale complessità non può essere compresa con una mentalità a codice binario. È sbagliato applicare le categorie della politica interna alla politica internazionale: un errore pericoloso che oggi commettono tutti i censori.
Non è metodologicamente corretto analizzare lo scontro tra Putin e Zelensky secondo le categorie con cui interpretiamo lo scontro tra Prodi e Berlusconi o quello tra Conte e Salvini. I processi di pensiero devono essere riconfigurati.
Queste conoscenze critiche accrescono la nostra libertà e la nostra consapevolezza. Tuttavia, sono dirompenti nei Paesi in cui gli analisti di politica internazionale sono abituati a ripetere ciò che dicono i ministri.
Accade in Russia, in Cina, in Iran.
E in Italia? La censura incoraggia a ripetere pappagallescamente ciò che dice il potente di turno.
Ecco perché l’invasione dell’Ucraina non è stata prevista, pur essendo facilmente prevedibile.
Prevedere è impossibile senza criticare.