di Wanda Marra per Il FQ, 7-6-19
Mettere il silenziatore, pattinare sulla superficie, dire il minimo, senza affondare: la strategia del segretario del Pd Nicola Zingaretti, davanti a Luca Lotti e Cosimo Ferri intenti a trattare per la nomina del Procuratore di Roma doveva essere più o meno questa.
Ma ieri mattina, quando al Nazareno hanno letto ilFatto, è partito il consueto psicodramma: come tenere botta di fronte all’ennesimo caso di malagestione del potere e di tentativo di influenzare la magistratura? Come reagire, alla vigilia dei ballottaggi?
Zingaretti ha cercato di battere almeno un mezzo colpo. E ha convocato Lotti al Nazareno. Nell’entourage di quello che è stato il braccio destro di Matteo Renzi raccontano che l’in contro tra i due era già previsto, doveva essere una riunione sugli equilibri interni dei Dem.
Ma in realtà Zingaretti voleva cercare di fare pressione su Lotti, indurlo a capire la poca opportunità del suo modo di agire.
Tanto più che – come vanno ripetendo i neo-vertici del partito –trattava non per conto del Pd, ma suo. Facendo pesare questa posizione, il segretario gli ha chiesto di dargli la sua versione dei fatti.
E l’ex sottosegretario ha ribadito quello che aveva già detto pubblicamente mercoledì sera. Ovvero che i suoi comportamenti sono stati improntati al l’assoluta correttezza. A quel punto Zingaretti, raccontano, “ha preso atto”. Non avrebbe, dunque, espresso nessuna valutazione particolare.
DELL’INCONTRO, però, c’è pure una coda semi comica. Perché esce un’agenzia di stampa (LaPresse), secondo la quale Zingaretti avrebbe espresso “solidarietà” a Lotti.
Subito dopo corretta da un ’Ansa , che così scrive, a scanso di equivoci: “Fonti della segreteria hanno precisato: ‘nessuna solidarietà, il segretario nell’incontro ha solamente ascoltato la ricostruzione dei fatti dell’on. Lotti’”.
Anche su questo, i racconti divergono: secondo gli uomini di Zingaretti, sono stati i lottiani a fornire la prima versione dei fatti. Secondo questi ultimi, si è trattato solo di un errore.
Quel che è certo, è che il clima nel Pd – dopo i tentativi di Zingaretti di addomesticarlo –torna a essere il solito: veleni, sospetti, guerre e congiure.
E la debolezza del segretario diventa plastica. E non solo per le sue personali relazioni con Palamara e Centofanti, ma anche per questioni prettamente politiche.
Lotti non ha alcun incarico ufficiale nel Pd, ma è il capo di Bri (Base Riformista), la corrente che conta più parlamentari: sono 74 su 163 complessivi.
Che poi sommati ai 10 dell’area Giachetti diventano 84. Per dire, gli zingarettiani veri e propri non sono più di 13. Insomma, almeno a livello parlamentare il segretario del Pd è ostaggio di Lotti.
Al quale, peraltro, risponde Andrea Marcucci, capogruppo in Senato.
CON QUESTA TEGOLA, va in fumo il tentativo di stabilire rapporti di fiducia con quell’area. Non a caso, Zingaretti ha spinto il più possibile in queste settimane sulle elezioni.
Mentre specularmente le varie sfumature di renziani hanno cominciato a esprimere le loro perplessità: il motivo ufficiale è la concreta possibilità che si consegni il Paese alla destra, quello più inconfessabile è il fatto che la ricandidatura per la maggior parte di loro è una specie di miraggio.
Tornando alle pressioni per la Procura di Roma, va notato un altro aspetto.
Il Pd ha una Commissione di garanzia (in questo momento presieduta da Silvia Velo, orlandiana doc).
Ma nulla può fare su Lotti e Ferri, a quanto raccontano i suoi membri, perché non esiste nessun esposto ufficiale che lo richieda.
D’altra parte, ai vertici del Nazareno continuano a ribadire che “non c’è nessuna indagine in corso” (come ha dichiarato lo stesso Zingaretti).
Ma poi, a denti stretti, ammettono: “Una questione di opportunità politica ovviamente c’è”.
Il segretario aspetta di superare i ballottaggi per annunciare la nuova segreteria (forse). In origine si era parlato di posti per Br, forse addirittura per Lotti. Questo non avverrà.
Il che, però, significa una sola cosa: la guerra nel Pd è cominciata e da lunedì diventerà sempre più evidente. “