Cinema & Teatro, Luciano Odorisio

Michele Anselmi: “L’UFFICIALE E LA SPIA”, GRANDE POLANSKI

“L’UFFICIALE E LA SPIA”, IL VINCITORE MORALE DI VENEZIA 2019

GRANDE POLANSKI SU L’AFFARE DREYFUS

Ottima recensione di Michele Anselmi per Siae.

Arriva finalmente nelle sale il vincitore morale della Mostra di Venezia 2019. Non che “Joker” fosse un brutto film, tutt’altro, e il successo strepitoso riscosso nelle sale di tutto il mondo sta lì a dimostrarlo; ma continuo a pensare che il Leone d’oro dovesse andare a “J’accuse” di Roman Polanski, comunque destinatario del Gran premio della giuria, diciamo una sorta di secondo posto. Purtroppo governava al Lido una sconsiderata presidente di giuria, Lucrecia Martel, ed è già un miracolo che sia finita così.

Ribattezzato per l’Italia “L’ufficiale e la spia”, come il bel libro, edito da Mondadori, da cui è tratto, il film esce giovedì 21 novembre targato 01-Distribution (coproduce Luca Barbareschi, pure attore sullo schermo nei panni di un alto funzionario cornuto).

C’è una frase che racchiude bene il senso del film. “I romani davano in pasto ai leoni i cristiani. Noi gli ebrei”. La battuta, orribile ma rivelatrice, viene detta da un maggiore dell’esercito francese e sembra gorgogliare da un sentire profondo, quasi “popolare”. Il capitano Alfred Dreyfus è stato appena degradato, teatralmente, nel cortile dell’École Militaire a Parigi, il 15 gennaio 1895, prima di essere spedito coi ceppi nella lontana Isola del Diavolo, Guyana francese (sì, quella di “Papillon”).

L’ottantaseienne regista franco-polacco, di origini ebraiche, ha lavorato a lungo sul copione insieme allo scrittore Robert Harris, autore a sua volta del romanzo-reportage, appunto “L’ufficiale e la spia”, che racconta il famoso “affaire Dreyfus” dal punta di vista del colonnello Georges Picquart.

Chi è Picquart? Un alto ufficiale che non ama gli ebrei, come tanti nella Francia non solo di allora. Promosso al comando di un’unita dei servizi segreti (la descrizione del palazzo è bellissima nel film), Picquart si rende presto conto di quanto siano inconsistenti le accuse di alto tradimento nei confronti di quel collega del 14° Reggimento artiglieria. Dreyfus è accusato di aver passato, per denaro, informazioni militari agli alti comandi tedeschi, ma basta qualche riscontro per far emergere un quadro diverso, alla faccia delle “prove” grafologiche, delle dicerie e delle congetture.

La vera spia si chiama Walsin Esterhazy, ma a quel punto esercito e governo fanno fronte comune per non riaprire il caso e riabilitare l’innocente ebreo sepolto vivo su quell’isola lontana. Solo Picquart, mettendo in gioco carriera e onore, addirittura finendo in carcere, sfiderà la congiura del silenzio, creduto dallo scrittore socialista Émile Zola, che il 13 gennaio 1898 scrive sulla prima pagina di “L’Aurore” un’accurata e vibrante lettera aperta al presidente francese Félix Faure intitolata: “J’accuse” (da qui il titolo originale del film).

Jean Dujardin e Louis Garrel incarnano Picquart e Dreyfus, e solo il breve dialogo tra i due militari nella scena finale, ambientata nel 1906, dodici anni dopo l’inizio della vergognosa vicenda, vale il prezzo del biglietto. Ma tutti gli interpreti si intonano alla ricostruzione prodigiosa di una vergogna di Stato nel quale confluirono antisemitismo, viltà, corruzione, meschinità, depistaggi. Insomma un gran film, non solo per l’accuratissima messa in scena, la fedeltà dei costumi e degli ambienti, la fotografia quasi a luce naturale di Pawel Edelman e la misurata colonna sonora di Alexandre Desplat; di quelli che intrecciano sdegno e denuncia senza sacrificare “il fattore umano”, un po’ prefigurando gli epocali disastri del Novecento.

Polanski si fa vedere per un attimo, un po’ alla maniera di Hitchcock: con tanto di baffoni durante un salottiero concerto. In qualche intervista ha fatto balenare l’idea che le sue note traversie giudiziarie siano paragonabili a quelle subite dall’innocente capitano ebreo, per la serie: “Dreyfus c’est moi”. Non scherziamo, vi prego. Sono confronti insensati.

PS. Per chi avesse voglia di fare il bis: nel lontano 1991 Ken Russell girò in inglese un film televisivo suppergiù sullo stesso tema, “Prigionieri dell’onore”, con l’americano Richard Dreyfuss nei panni del colonnello Picquart.

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