La lettera di un ragazzo qualsiasi, forse un po’ “choosy”.
“Sono un ragazzo di 32 anni della provincia di Modena e da un po’ mi addentro meno nel mondo dell’informazione.
Non perché non sia interessato, ma perché sembra si parli di tutto tranne quello che mi preme. Il più delle volte è un problema di lessico: io appartengo a quella generazione scolarizzata, europeista e ad alto potenziale che viene chiamata ora “i giovani”, ora “millennials” e ora “choosy” (quando ci vogliono criticare).
Emerge il ritratto di un paese in cui sono presenti due istanze non in grado di parlarsi, capirsi. Noi 30enni non desideriamo altro che cose normali come la stabilità economica, un posto di lavoro sicuro e comprensione.
Dico comprensione perché oltretutto faccio parte di quella minoranza che sono gli umanisti, essendo un laureato in Storia, e mi sento dire che se non trovo lavoro è perché me la sono cercata o che gli storici non servono a nulla tanto c’è Wikipedia: da qui una perenne sensazione di essere fuori posto in questo mondo.
Certo potrei andare all’estero, ma servono condizioni favorevoli e sarebbe semplicemente ridicolo lasciare l’Italia perché con quello ha che può dare lavoro a intere generazioni di storici, studiosi d’arte, linguisti.
Ma siamo un paese che non sa valorizzare nulla. Vi lascio un aneddoto: mentre il Titanic affondava un violinista, Wallace Hartley, continuava a suonare.
L’ho preso in simpatia perché rappresenta quella speranza velata di utopia che è il nostro cruccio: quando sarebbe forse più semplice arrendersi c’è qualcosa nell’animo umano che ti costringe ad andare avanti.”