Non perdetevi il succoso articolo di Luca Telese, un ottimo giornalista scomodo, non allineato, fuori dal coro…e anche spiritoso, che non guasta.
La rivolta anti Governo delle signore con le borse firmate e dei Parioli. È la rabbia dei ricchi contro la periferia che è andata al potere
Antonio Gramsci lo chiamava “il sovversivismo delle classi dirigenti”, e oggi in Italia questo stato d’animo è quello dei ceti agiati che continuano a non capacitarsi del fatto che – giusto o sbagliato – si possa governare senza il loro consenso. Il referendum sull’Atac e la piazza dei 40 mila per il Sì alla Tav sono un caso di scuola.
E allora eccola, la piazza delle signore di Torino, con i quarantamila cammellati dei sindacati ben nascosti dietro il volto garbato di sette belle signore della buona borghesia torinese, architette, libere professioniste e stiliste usate per convocare una manifestazione “senza bandiere di partito”.
Eccola la piazza di Roma, con i consiglieri comunali del Pd nascosti dietro altre rispettabilissime signore, che avevano lanciato la mobilitazione contro la giunta via internet.
Eccolo il referendum nella Capitale per la privatizzazione dell’Atac, con i giornalisti della buona borghesia – a partire dai miei colleghi David Parenzo e Gaia Tortora – che lanciano alti lai per i disservizi dei Parioli e puntano il dito sul popolo bue che nei quartieri popolari è colpevole (ai loro occhi) di non essere andato a votare a favore del referendum organizzato dai radicali per la liberalizzazione del trasporto pubblico.
l sovversivismo delle classi dirigenti
Tre storie diverse unite da un unico filo. Antonio Gramsci lo chiamava “il sovversivismo delle classi dirigenti”, e oggi in Italia questo stato d’animo è quello dei ceti agiati che continuano a non capacitarsi del fatto che- giusto o sbagliato – si possa governare senza il loro consenso. Il referendum sull’Atac è un caso di scuola:
Forza Italia e Pd si uniscono nel sostegno al quesito consultivo proposto dai radicali, il polo degli sconfitti gonfia il petto in cerca di rivincita.
Le parole d’ordine sono straordinarie e infiammano i salotti: si tratta di inaugurare una fase di “liberalizzazione” – dicono – e non di “privatizzazione”.
Basterà mettere a gara le linee e i problemi si risolveranno, i trasporti a Roma miglioreranno magicamente, e dunque i romani con il loro voto hanno una ottima occasione per mandare un messaggio a Virginia Raggi (contrario alla liberalizzazione, come tutto il M5s) e imporle di cambiare musica.
Obiettivo legittimo, per carità, soprattutto quando si dichiara.
Il referendum di Roma
Ma il risultato è stato questo: l’affluenza si è fermata ad uno striminzito 16.4%. Di oltre 2 milioni e 300mila aventi diritto a Roma si solo recate a votare meno di 300 mila persone.
I dati, ovviamente parlano chiaro e dimostrano la solita divisione, già vista alle politiche con il cosiddetto “partito Ztl”, tra centro e periferie: nella circoscrizione dove sono compresi i Parioli si arriva al 25% di affluenza, in quella dove c’è Torbellamonaca al 9%. Lo segnalo sommessamente su Twitter.
Apriti cielo. Arriva una pioggia di commenti lunari, di persone (spesso gente che non conosce Roma nemmeno in cartolina) che se la prende con chi non è andato a votare, accusandolo di non consapevolezza, di insensibilità e/o di ignoranza.
Tra questi un signore che pur abitando nella Capitale mi invia la cartina per provare a dimostrare che il quartiere di San Lorenzo confina con Torbellamonaca (li separano, in realtà, 17 chilometri!).
Arguisco dal fervore, e dall’incertezza cartografica, che questo ceto medio sarà forse molto riflessivo, ma è molto poco viaggiante nelle nostre città, e poco pratico delle periferie.
È stato spesso a Parigi, o a Copenaghen, che declama come modello di civiltà, ma evidentemente, se si dovesse dirigere a Spinaceto o a Casalotti, non troverebbe la strada.
Anche Parenzo fra gli indignati
Tra questi indignati contro gli astensionisti della periferia c’è anche il mio amico David Parenzo che temerariamente si spinge fino a regalare ai lettori questa sua interpretazione sulla sconfitta del quesito che ha sostenuto con tanta passione: “Perché quelli de Torbella – spiega David – non sapevano del voto! Non penso gli piaccia l’autobus come oggi che non arriva mai. Io, ovviamente, ho votato e votato SI! Se a quelli de Torbella je piace l’ATAC così…bene, poi non rompessero le palle se l’autobus non arriva!”.
Il simpatico David abita nel cuore del quartiere Prati, gira per la città con il Renegade, un bellissimo suvvetto della Jeep appena comprato (lo so perché glielo ho consigliato io 🙂 ) e purtroppo per lui, mentre se la prende con i disinformati cittadini di periferia, ignora di essere a sua volta assai “disinformato” pure lui.
A Torbellamonaca (dove io da ragazzo ho lavorato e vissuto per un lungo anno) l’affidamento in appalto lo hanno già, anche senza il referendum, visto che le linee (057-059, per esempio) già ora non sono servite da ATAC ma dalla società TPL (con un qual certo, tangibile peggioramento in termini di servizio).
La buona borghesia indignata per gli autobus
Secondo un’altra convenuta nel dibattito, Gaia Tortora, mia collega e amabile conduttrice di un bel programma de La7, io (e loro) saremmo ciechi di fronte al dramma del degrado nel suo quartiere, i Parioli.
Le chiedo via twitter se non stia scherzando e lei mi risponde così: “Si vede che non prendi i mezzi.
I Parioli sono collegati malissimo e per alcune linee e per fare poco tragitto a volte si aspetta un’ora”.
Dietro questo messaggio è tutto un coro di buona borghesia indignata che si aggiunge e applaude: ancora una volta professionisti, giornalisti, architetti, persone come Roberto Bellardini (uno che simpaticamente si definisce con un folgorante trinomio “liberale, liberista e velista”) anche loro indignati con i bifolchi della periferia che non capiscono il dramma dei Parioli e che quindi interpretano l’astensione delle periferie come una colpa di chi le abita.
Borgatari brutti e sporchi
Osserva Bellardini, simulando la soggettiva del borgataro che disprezza per la sua astensione: “L’#Atac resti così com’è! 1) Ci lavora mio cugino. 2)spesso faccio il portoghese senza controlli .3) Costa poco e le perdite le pagano anche a Oderzo. 4) Se mio cugino sta malato per fare secondo lavoro non lo licenziano. 4) Mio cognato guadagna di brutto coi ricambi. 5) Odio i radicali”.
Quindi, secondo Bellardini – e tanti come lui – il periferico buzzurro, per questa corrente di pensiero è colpevole due volte: non solo perché è disinformato e ignorante della cosa pubblica, come spiega David, ma anche perché da buzzurro, essendo ovviamente “brutto sporco e cattivo” come i borgatari raccontato da Ettore Scola, vuole vivere alle spalle dei probi cittadini di Oderzo perché sia garantito il bengodi del “cugino”.
Un altro collega che scrive per Huffington post, Marco D’Egidio, torna sulla variante parenziana, questa volta declinata in salsa buonista e paternalista: “Telese – scrive – non è neppure sfiorato dal dubbio che gli abitanti di Torbellamonaca in grandissima parte non sapessero del voto – oppure fossero male informati? Nessuno ha detto sono scemi. Disinformati o non informati, forse”.
Loro, i buoni borghesi, sono informati e colti: gli altri no, sono ignoranti e irresponsabili.
Il tema va ribaltato
L’argomentazione, purtroppo andrebbe ribaltata: nel giorno in cui Forza Italia, Pd (ancora una volta a braccetto) e i radicali, dopo aver tappezzato Roma di manifesti e aver invaso il web di appelli per la vita o per la morte prendono solo il 16.4% dei voti, forse sono loro che dovrebbero accorgersi e prendere atto di essere minoranza.
O no?
E ipotizzare che questo accade non per disattenzione altrui, ma per scarsa attrattività propria. Sono minoranza, anche se vitale, i 40mila, che nelle città si mobilitano dietro le signore: che fanno manifestazioni con alle spalle partiti e sindacati, facendosi portare lo striscione dal prode Marco Bentivogli, vero uomo forte del No al governo, che con la sua Cisl si presta sempre generosamente al catering mascherato per la società civile.
Sono dunque minoranza e sono così timorose – queste forze – che sentono il bisogno di nascondere dietro l’aggettivo “civico” la parola “opposizione”. Infatti “Partito”, “sindacato”, “Confindustria” e “opposizione” non appaiono mai perché evidentemente questi soggetti non si sentono abbastanza chic, mentre “donna”, “Societá civile” e “tam tam su internet” invece sono veramente alla moda.
Dove eravate per mafia capitale?
In questo paradosso mediatico, quando Fratelli d’Italia, Rifondazione comunista o in COBAS portano 40.000 persone in piazza (cosa che gli riesce facilmente) non lo scrive nessuno: ma se a farlo con un gruppo di professionisti con la coccardina arancione i quotidiani fanno aperture di prima pagina per tre giorni, e pubblicano pezzi di fenomenologia per una settimana. Il simpatico travestitismo pop di questa opposizione tartufesca è molto simile a questo sentimento incredulo e indignato del giornalista “pariolino e terzomondino” che abita a piazza Euclide ma si percepisce come se fosse in Congo perché la sua colf ritarda, e questo lo rende arrabbiato contro il residente di Torbellamonaca che “che non si informa”, cioè non va a votare per la sua battaglia.
Lui – che non si è mai mobilitato nemmeno per Mafia capitale – oggi prova un sentimento aggressivo con questo popolino che non lo capisce, che non condivide i suoi bisogni.
Si sente ferito, offeso, indignato solo per il fatto di considerarsi classe dirigente e scoprire, invece, di essere irrimediabilmente minoranza. Vorrebbe che la parola “cittadino” fosse come un cappotto di buon taglio, che coincidesse con i suoi bisogni e le sue preferenze politiche, che li rendesse eleganti.
Vorrebbe una parola alta per spogliarsi del senso di minorità che lo attanaglia. Ma ovviamente non è, e non può essere così.
Perché alle periferie che hanno votato per i barbari tutto può passare per la testa, tranne che sentirsi solidale per gli autoproclamati martiri della “borgata Parioli”.
La borghesia Ztl non diventerà classe egemone
Si mettano il cuore in pace. Forse cadranno queste giunte e questi governi, sicuramente pieni di difetti, ma la buona e decorosa borghesia dello Ztl non diventerà mai classe egemone, perché proprio nel momento in cui si emoziona per aver riempito una piazza, pensa di aver fatto un grande sacrificio nell’interesse generale.
E invece appare – al resto del mondo – solidamente incatenata, come sempre, al suo ombelico, alla paletta dell’autobus dei Parioli, alle belle borse, alle pashmine e ai ninnoli di metallo pregiato che esibisce orgogliosamente come fossero bandiere, e invece vanno raccontati, e non come dettaglio, perché sono solo le stimmate logore di un benessere che presso i ceti popolari gli procura solo distanza, se non addirittura odio: perché quel pallido benessere, sopravvissuto alla crisi, è proprio quello che oggi agli altri manca.
Luca Telese