Forse non tutti sanno che la Genovese è una salsa a base di carne e cipolle con cui si condisce la pasta. Rigorosamente grossa, come ziti spezzati, paccheri, ma anche penne.
Mio padre, nel tentativo vano di avvicinare mia madre al rispetto rigoroso della tradizione culinaria napoletana, nel 1965 acquistò un libro di ricette appena pubblicato: “La cucina napoletana” di Jeanne Caròla Francesconi.
Quando c’era da preparare qualche pranzo importante, papà consultava il libro, sceglieva le ricette, procurava gli ingredienti.
Poi sedeva al tavolo della cucina e dirigeva i lavori.
Non l’ho mai visto avvicinarsi ai fornelli, tranne quando mia madre mancava per qualche suo impegno dai nonni o di assistenza ad amiche inferme.
Lei aveva l’anima della crocerossina: Florence Nigthingale era sicuramente stata il suo mito giovanile.
Non aveva potuto realizzare il suo sogno e le stavano stretti gli abiti della casalinga, soprattutto della cuoca.
Preparava i pasti giusto per la sopravvivenza, mentre papà apprezzava il buon cibo allestito come si doveva, la tavola imbandita alla perfezione.
E ogni pasto si concludeva immancabilmente con una mela annurca.
Tra loro non sorgevano mai conflitti.
Papà accettava le pietanze frettolose che lei gli ammanniva: l’importante era il rispetto degli orari dei pasti.
Per lui, da capostazione, l’orario era tutto.
Per lei, che non portava l’orologio, l’orario era aleatorio.
Ricordo in particolare la preparazione della Genovese, che per papà doveva seguire le tassative prescrizioni di Jeanne Caròla Francesconi:
Mammà, però, alleggeriva la ricetta, usava solo l’olio e la carne di vitello, diminuiva le cipolle, non prevedeva spezie e concentrato di pomodoro, dimezzava i tempi di cottura.
Insomma alla fine il piatto non si avvicinava nemmeno lontanamente alla Genovese canonica, anzi era tutta un’altra cosa.
Papà senza batter ciglio consumava il piatto. Gli andava sempre bene e non protestava mai.
Con questi precedenti in famiglia, posso affermare di aver superato i miei genitori.
Il libro della cucina napoletana acquistato da papà, logorato dall’uso, è ancora in mio possesso.
Lo consulto come atto d’amore, poi faccio a modo mio.
E preparo la finta Genovese. Perdonatemi: negli anni mi sono abituata a modificare le ricette classiche e molti amici ricordano ancora i finti spaghetti alle vongole. Ma questa è un’altra storia.
Ecco la mia ricetta della finta Genovese.
Ingredienti
1 kg. di cipolle di Tropea, olio EVO, un bicchiere di vino bianco, q. b. di brodo vegetale, parmigiano grattugiato.
Taglio le cipolle a fettine sottili, quasi trasparenti. Le faccio rosolare a fuoco dolcissimo nell’olio. Quando prendono colore, aggiungo il vino, lo faccio evaporare a fiamma più vivace. Quando il vino è evaporato aggiungo il brodo vegetale in modo che le cipolle siano sommerse completamente. Ricopro la pentola e abbasso la fiamma. Lascio cuocere e sorveglio che il liquido non si consumi, se necessario aggiungo altro brodo. Attenti al sale! Il brodo è salato, quindi non è necessario aggiungere sale. Lascio andare fino a quando le cipolle non si siano ridotte a crema. Condisco con questa salsa la pasta cotta al dente e spolverizzo con tanto parmigiano grattugiato. Se vi piace potete aggiungere il pepe, ma io non lo preferisco. Buon appetito!
Ma la Genovese è tutta un’altra cosa e Jeanne Caròla Francesconi si starà rivoltando nella tomba.
Caterina Abbate
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