Un brano di “Dritto al cuore, Baldini&Castoldi s.r.l.
Armi e sicurezza: perché una pistola non ci libererà mai dalle nostre paure” di Luca Di Bartolomei, ex funzionario del Pd, figlio del campione dell’As Roma, Agostino, morto suicida nel 1994
“Quando mio padre Agostino si è sparato, l’ultima persona ad averlo visto vivo sono stato io. Si era alzato presto e, come sempre, era venuto a svegliarmi per andare a scuola.
Della mattina di quel 30 maggio 1994 ricordo ogni singolo momento.
L’unica cosa che non ricordo è la pistola con cui si è tolto la vita.
Quando l’ho salutato con un bacio, Ago era seduto in terrazza e la Smith & Wesson calibro 38 a canna corta sono sicuro non l’avesse ancora presa.
Lo dico subito: se qualcuno vuole accusarmi di usare la vicenda personale mia e della mia famiglia coglie nel giusto.
Nelle occasioni in cui si parla – come puntualmente avviene da troppi anni –di ampliare le maglie della detenzione e del porto d’armi con la scusa della legittima difesa, io ripenso sempre a quel bagliore.
Quella canna lucida che dopo il suicidio di mio padre ho rivisto diverse volte.
Di quell’arma non abbiamo mai avuto né la forza né il coraggio di disfarcene. Come se qualcosa di noi fosse rimasto, da allora e per sempre, ostaggio di quella pistola. (…)
DA QUALCHE anno, sotto la spinta di una certa politica e di una certa propaganda, stiamo assistendo a una irragionevole (lo dicono i numeri!) perdita di fiducia nei confronti dello Stato quale garante e custode della sicurezza di noi cittadini.
E tutto questo ci sta conducendo su un sentiero di estremo pericolo. Se ho deciso di partire da qui, da una storia personale, “strumentalizzando”la morte di Ago, è perché non mi interessa più ricordare quanto allora ho perso come figlio.
Adesso, di fronte all’abisso verso cui ci stiamo lasciando guidare, non mi pesa più tanto quel dolore passato. M’importa pensare a tutto quello che, da domani, potrei perdere come padre, come zio, come amico.
E ne ho paura. Per questo ho voluto scrivere questo libro, per ricordare che più armi in circolazione significano solo più sangue.
E partendo da questa intima convinzione desidero subito offrire le mie scuse alle tante persone di famiglia a cui faccio rivivere un gesto che come un buco nero ci costringe a gravitare ancora una volta nelle sue vicinanze.
È DOVEROSA anche un’avvertenza.
Io non sono contrario alle armi e non sono nemmeno pacifista, anzi. Sono fermamente convinto che l’utilizzo della forza sia spesso – di sicuro troppo spesso – a n co r a necessario.
Sia in teatri internazionali, a protezione delle popolazioni e dei diritti umani, sia in contesti nazionali, anche mediante azioni preventive che trovino sempre fondamento nel dettato costituzionale e mai mediante coperture legislative emergenziali.
Premesso ciò, credo però altrettanto fermamente che l’utiliz – zo della forza e quello delle armi debbano essere un’esclusi – va dello Stato.
Una prerogativa delle forze dell’ordine che sono preparate fisicamente e psicologicamente all’uso.
Basta riflettere per rendersi conto che in un consesso civile tanto l’utilizzo della forza quanto il giudizio e l’eventuale irrogazione della pena devono essere affidati a un soggetto terzo, perché altrimenti si torna alla barbarie tribale.
Se abdicheremo a questi princìpi, se ognuno di noi, da armato, preferirà la percezione personale all’oggettività del reale e considererà superiore a quella di un tribunale la propria idea di giustizia questo nel prossimo futuro rischierà di non esser un Paese per vecchi.”