Stralci da un’intervista per La Verità di Gad Lerner:
«Del resto, la mia biografia e la mia professione sono queste. Ci sono le foto. E ci sono i libri e gli articoli che ho scritto. Sono amico di molti operai e anche dell’ ingegner Carlo De Benedetti. Continuerò a frequentare sia loro che lui dicendo sempre come la penso. Non ho mai immaginato di poter essere un leader della sinistra. Tanto meno di poter contribuire a quello che sarà un cammino di risalita lungo, incerto e faticoso. Non illudiamoci».
Lui è Gad Lerner, da Lotta continua al Tg1, dal Manifesto a La7 passando e programmi come Profondo nord, Milano, Italia e L’ Infedele.
«No, non c’ è stato un motivo scatenante della mia autocritica – parola sovietica. O forse sì, la querelle sul Rolex, che è servita solo a consolidare l’ etichetta di radical chic».
Alla domanda del come mai la sinistra stia sparendo risponde:
«Quando si patiscono sconfitte storiche si finisce sottotraccia. Mi auguro che i dirigenti superstiti non s’ illudano di tornare presto al governo, con qualche scorciatoia. I terreni vanno arati e coltivati con pazienza per vedere se quello che c’ è sotto può riprendere a dare frutto. La sinistra italiana non ha saputo tutelare le classi subalterne».
E continua:
«Nella seconda metà degli anni Novanta i dirigenti del partito che per la prima volta conoscevano i rappresentanti dell’ alta finanza subirono una sorta d’ infatuazione. Ricordo il compiacimento con cui Massimo D’ Alema raccontava l’ incontro con l’ inavvicinabile Enrico Cuccia, immaginando alleanze quasi fosse il portavoce dell’ intera borghesia, mentre era l’ espressione di un’ oligarchia molto ristretta che badava più al controllo delle aziende che al loro futuro».
Poi ricorda la sua simpatia per Prodi.
«Simpatizzavo per lui perché, da democristiano scafato con un passato all’ Iri, non aveva la sindrome del parvenu. Ma intratteneva rapporti da pari a pari con i big del capitale».
R la sua amicizia per De Benedetti e Agnelli.
«Sono frequentazioni nate dal lavoro. Per i giovani giornalisti entrare nelle loro stanze era un traguardo. Di alcuni protagonisti dell’ establishment sono diventato amico, pur conservando la diversità della mia storia rispetto alla quale sono curiosi, come io della loro».
E un’amara riflessione del PD, oggi:
«Credo che il Pd si sia battuto troppo poco per i diritti civili, a cominciare dal mancato voto di fiducia sullo ius soli. Avrebbe dovuto essere un partito più femminista e più deciso nella battaglia contro l’ omofobia. Su questo abbiamo opinioni diverse».
E i nuovi leader?
«Spero vengano dal sindacalismo, dalle categorie dei lavori umili, dal volontariato, le attività di aiuto alle persone. E da coloro che, dopo aver realizzato che la ricetta di “prima gli italiani” ci avrà fatto diventare più cattivi e più poveri, sappiano trasferire in politica le loro energie».
E Nicola Zingaretti?
«Mi sembra una persona con un percorso politico rispettabile. Ma temo insufficiente a rappresentare la novità che la sinistra aspetta».
Pchi giorni fa ha ammesso che servono biografie diverse dalla sua per rifondare la sinistra:
«È evidente: i leader devono avere uno stile di vita e un rapporto con le classi subalterne diverso da quello che ho io. Noi radical chic possiamo impegnarci per contrastare l’ incattivirsi che abbiamo intorno. Se la Rai vorrà continuare a farmi lavorare sarò ben lieto. Ma altri devono rappresentare politicamente le esigenze di una maggiore giustizia sociale».
E come hanno reagito alla sua provocazione di dichiararsi radical chic?
«In molti mi hanno chiamato o scritto dicendomi che ho toccato il nostro punto dolente. Ma riconoscere che siamo inadatti a rappresentare la sinistra del futuro per me non è una pulsione masochistica. È un’ ovvietà».