L e bozze di legge sul conflitto d’interessi firmate dal Movimento Cinque Stelle in circolazione sono tre. All’interno ci sono diverse norme che potrebbero stravolgere radicalmente l’attuale disciplina.
ANTI-TYCOON .
L’intervento più forte – sul quale sono prevedibili critiche feroci anche riguardo il profilo costituzionale – è scritto all’articolo 5 comma 1 della proposta di legge che porta la prima firma della deputata M5S Anna Macina.
È stata già chiamata la norma “anti tycoon”, ma forse è più corretto definirla “anti ricchi”: prevede che possa dar luogo a conflitto d’interessi anche la semplice proprietà di “ingenti patrimoni”. In particolare – si legge –le cariche di governo (nazionale e locale) e la presidenza delle Authority diventano incompatibili “con la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all’estero” (e anche attraverso parenti, conviventi, prestanome o società fiduciarie) “di un patrimonio immobiliare o mobiliare di valore superiore a 10 milioni di euro”, con la sola eccezione dei titoli di Stato.
I DUE MANDATI.
Nella seconda bozza dei Cinque Stelle sul conflitto d’interessi (la prima firma è della deputata Fabiana Dadone) viene introdotto uno dei principi storici del Movimento: quello del limite dei due mandati elettivi. Si legge all’articolo 3, comma l: sono ineleggibili “coloro che hanno esercitato per due mandati, anche non consecutivi, la carica di membro del Parlamento”. Difficile sia fattibile con legge ordinaria.
INCOMPATIBILITÀ.
La pdl Dadone stila anche un lungo elenco di incompatibilità per il ruolo di parlamentare (italiano ed europeo) con qualunque forma di incarico (“ufficio, carica o funzione”) in enti pubblici o aziende a qualunque titolo controllate o vigilate dallo Stato fino a rendere incompatibile persino lo svolgimento a titolo gratuito di consulenze per quelle società o enti. Previsione che pare davvero troppo vasta.
I MAGISTRATI.
Nel pacchetto dei Cinque Stelle c’è anche una norma che regola i rapporti tra magistratura e politica. La legge attualmente in vigore prevede che i togati non siano eleggibili se non hanno lasciato il loro incarico almeno sei mesi prima della candidatura, ma questo solo nelle circoscrizioni elettorali che coincidono con gli uffici dove hanno lavorato (per fare un esempio: il pm di Palermo non potrebbe candidarsi nei sei mesi successivi alla fine del suo incarico, ma solo in Sicilia).
Nel testo grillino l’aspetto territoriale non è più considerato: “I magistrati – esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori – anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive, non sono eleggibili se hanno svolto le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti alla data di accettazione della candidatura”.
Inoltre i magistrati che si sono candidati senza essere eletti dovrebbero rinunciare al ritorno in carica (o allo stipendio) per due anni, ovvero “non possono esercitare le loro funzioni per un periodo di ventiquattro mesi, né percepire alcuna retribuzione ad esse relativa”.
I GIORNALISTI.
Nel testo firmato Dadone c’è anche una norma “anti direttori”. Che equipara, di fatto, i giornalisti ai magistrati. “I direttori e i vicedirettori di testate giornalistiche nazionali, anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive, non sono eleggibili se hanno esercitato l’incarico nei sei mesi antecedenti alla data di accettazione della candidatura ”.
Anche questa norma lascia più di un dubbio sotto il profilo costituzionale.”
di Tommaso Rodano per Il FQ, 12-05-19