di Andrea Scanzi per Il FQ, 17-9-19
Sono due le fortune del governo Mazinga: nascere in contrapposizione alla peggiore destra d’Europa, e quindi essere a prescindere migliore di qualsiasi altra opzione; e avere viceministri che, per fortuna, contano poco e sottosegretari meno di niente. Il livello è quasi sempre rasoterra.
I sottosegretari sono 43 (compreso Fraccaro a Palazzo Chigi): 21 M5S, 18 Pd, 2 LeU e un Maie (che non esiste in natura, ma fa comodo quando al Senato hai una maggioranza stitica come il Prodi 2).
I grillini, per mostrare il loro peggio, confermano Castelli e Sibilia.
Rispondono i renziani, schierando il poker deluxe Ascani-Malpezzi-Morani-Scalfarotto.
Tutta gente che, fino al giorno prima, aveva trattato i 5 Stelle come nazisti efferati.
Ha ragione Calenda, uno che come peso (politico) non conta nulla – i sondaggi gli concedono un mesto 2.5% – ma che ha gioco facile nel ricordare ai turbo-renziani la loro immane incoerenza: dal #senzadime al #datemiunapoltrona.
Annina Ascani, addirittura viceministro all’Istruzione tanto per ricordarci che la scuola resta proprio l’ultima ruota del carro, era tra i tanti la più esagitata nel bastonare i 5 Stelle, tra video ridicoli in controluce con la Morani (c’è pure lei nel Mazinga!) e remake di Shining col simpatico Giachetti.
Non ha però mostrato imbarazzi nell’accettare la poltrona del Mazinga: daje!
Si dice che Renzi, nonostante i 3 ministri e 5 sottosegretari, sia però indispettito per l’assenza di toscani nel governo e per i ruoli non apicali conquistati.
Per una volta ha ragione, perché Zingaretti non gli ha fatto toccare granché palla, quindi è verosimile che si vendichi staccando presto la spina. Infatti sta preparando la “scissione consensuale” (come no).
LA SPERANZA, per il Maziinga, è data dal fatto che oggi Renzi politicamente vale quello che merita: cioè niente. Il sondaggista Noto accredita un suo partito personale di uno stitico 5% in calo: se fa saltare tutto, al massimo lo seguono Meli, Fusani e Scalfarotto.
Già, Scalfarotto.
L’omino ameno che rideva ai piedi del Gran Capo Renzi quando quest’ultimo sputacchiava dal palco le sue battutone su Taverna e Di Maio, è ora sottosegretario agli Esteri. Proprio il dicastero di Di Maio.
E come collega ha Di Stefano, un altro con cui si accoltellerebbe.
Meraviglioso. Scalfy aveva dato segno di sé due mesi fa, visitando a Regina Coeli i due americani arrestati per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega: il solito genio.
Chi è, esattamente, Ivan Scalfarotto? Per rispondere a ciò occorrerebbe avere il talento che aveva Hegel nel sondare l’evanescenza, ma possiamo comunque provare a scandagliare la sua esaltante biografia.
Nato a Pescara nel 1965. A tre anni si trasferisce a Foggia. Laureato in Giurisprudenza.
Lavora in svariate banche. Nel 1996 (dopo una lettera a Repubblica) diventa minimamente noto come “deluso” dal Prodi I. Omosessuale, paladino dei diritti Lgbt. Nel 2001 fonda “Adottiamo la Costituzione”, sei anni dopo entra nei Ds (su invito di Fassino).
Veltroniano fervente, nell’ottobre 2007 è eletto nell’Assemblea costituente nazionale del neonato Pd ma manca l’elezione a deputato nel 2008.
Vicepresidente Pd dal 2009 al 2013. Nel 2012 è folgorato sulla via della Diversamente Lince di Rignano, di cui diviene aedo garrulo e ultrà rancoroso. Deputato nel 2013 e 2018.
Sottosegretario per le Riforme costituzionali e i Rapporti con il Parlamento con Renzi e poi allo Sviluppo economico con Renzi e Gentiloni.
Ora la poltrona nel Mazinga, ultima (per ora) poltrona di uno dei tanti nati quasi-ribelli e divenuti ben presto gattopardi. Anzitutto di se stessi.