Luciano Odorisio

Madonne & Puttane 2…

Come se la gode Maristella, una Rita Hayworth dei poveri, una quarantacinquenne roscia e maledetta, che corre inoltrandosi nel buio fra alberi e covoni cercando di sfuggire al rozzo corteggiamento di un giovane soldatino dalle mani lunghe e impertinenti.

«Ma si può sapere che vuo’ ‘a me?», domanda inutile.

La troia la ripete civetta tre quattro cinque volte fin quando arresta la sua corsa dietro un covone dove non ha più scampo.

Lui le è addosso, le aderisce da dietro.

Lei lo sente, sente il corpo del ragazzo premere contro il suo, le sue mani, ansima le piace le manca il fiato, si riprende, si gira sfrontata staccandosi, labbra dischiuse.

«Allora, che vuo’, eh?».

Betty Page

Lui osa, la tocca audacemente, lei non vuole, si ribella con un movimento frettoloso scomposto, la gonna si solleva a scoprire un erotico reggicalze nero alla Betty Page.

Cerca ancora di respingerlo, finge di subirlo, finendo a terra, scosciata indecente e spudorata, per un attimo si lascia andare come in balia dell’eccitazione di lui, della sua prepotenza.

«Pazzo, pazzo, ma che mi vuoi fare, sei ancora un ragazzino, e fermati… possono vederci…» recita lei mangiandoselo con gli occhi bistrati di vizio.

«Si’ così bella, così… così… tieni due melloni al posto delle sise…»

«Ahahah… maleducato!» ride di cuore lei, una mano a coprire la scollatura mozzafiato.

«Maleducato e scemo!», poi mette il broncio come una ragazzina al primo appuntamento che guarda di sottecchi il fidanzatino per carpirne le reazioni.

«Ma lo sai che sei nu prepotente tu… togli ‘ste manacce e modera il linguaggio, per cortesia… ma chi ti conosce a te, chi sei tu…»

Caldo, sudore, fiato corto, ansimante, la tarantella taratatà taratatà…

  Il segaligno batterista si diverte a roteare le bacchette fra le dita delle mani con la destrezza dei giocolieri, seduto in pizzo in pizzo sullo sgabellino tondo davanti ad un rullante, una grancassa con una scritta dei tempi andati “GOLDEN BOYS”, due tamburi “muti”, e 2 piatti, uno a pedale “charleston”, l’altro più grande “splash”.

Tutt’intorno alla Pupazza, nello spiazzo erboso antistante la chiesetta della Madonna dei Sette Dolori, chiesetta di contrada, impreziosita da filari di lampadine che ne disegnano croce, portale e contorni vari, poche abitazioni e fedeli devoti e turisti attratti dal folklore chiassoso di queste feste patronali.

La Pupazza

Al colorato organetto diatonico, un incrocio fra una fisarmonica tradizionale e un bandoneon argentino, si esibisce il ciccioso Adelmo Burattelli, detto Palombella per il suo modo di muovere le braccia come due ali pronte a spiccare il volo mentre con una mano picchietta sui tasti e con l’altra apre e chiude il mantice dando fiato allo strumento.

All’interno della Pupazza il ballerino tracanna avide sorsate di vino rosso da un capace fiasco impagliato incastrato nell’intelaiatura di canne, accanto alla feritoia che gli permette di vedere il percorso, sbavandosi tutto fino ad infradiciarsi la camicia.

Perde l’equilibrio.

La Pupazza sbanda piegandosi su un fianco, come in un inchino, in mezzo alla folla che si ritrae spaventata:   «Oooooh…!»

Dalle balaustre in pietra e ringhiere in ferro battuto dei balconi fanno bella mostra di sé coperte ricamate e drappi colorati, tessiture a mano, in onore della Madonna con dietro grappoli di padri madri nonni avvinazzati marmocchi sdentati neonati mocciolosi frignanti che partecipano anche loro con apprensione all’improvviso sbandamento della Pupazza.

Un bambino dall’aria birichina dispettosa sta spisciando dall’angolo del balcone su una devota da basso che con un sorrisino stupito non capisce da dove possa venire questa leggera pioggerellina in una serata così calda.

…tarattatà tarattatà tarattatà-tattà-tattà-tattà…

La gente beve, si diverte.

Lupini, semini abbrustoliti, sciuscelle a volontà.     Arrosticini di pecora si rosolano sulla brace delle furnacelle, bocche unte e bisunte dal grasso della porchetta, saettanti lingue di Menelik cecano occhi dei vicini con tante scuse delle madri, “sa-il-bambino-non-l’ha-fatto-apposta”.

Zingari con pappagalli che indovinano la pianeta di ognuno, passato presente e futuro di questo felice 1968 e anni a venire.

Sguardi obliqui fra giovani in calore s’incrociano nello scoppiettio dei fuochi d’artificio.

Dietro i covoni lui spoglia lei che ride finalmente disponibile, il reggicalze non regge più nulla, il seno provocatoriamente offerto alle voglie del coscritto.

«E dài allora, fammi vedere che sai fare.»

«Mò mi ti mangio…»

«Ahahah, ma lo sai che potrei essere tua madre… sei un poppante, vuoi il latte?», ridendo spudorata.

Il soldatino non se lo fa ripetere una seconda volta e le addenta il capezzolo provocatoriamente offerto per ciucciarlo con la voracità e l’imbranataggine della sua giovane età.

Lei butta la matassa di capelli all’indietro chiudendo gli occhi e aspirando a denti stretti il desiderio del ragazzo che sfarfuglia arrapato:

«Sì, mamma, sì, voglio il latte… mamma bona… bona… dammi il latte, puttana…»

«Ehi, guagliuncè, ma si dicono… queste… parolacce… alla… alla tua mammina?», sottovoce, rauca, pause da orgasmo rattenuto, piacere intenso, sangue caldo.

«Sì, sì, mammina troia… mmmm… mammina troia e puttan’…»

«Ahahahahah…» ride lei gorgogliando godimento.

Il viso radioso della donna contrasta con il volto reclinato e sofferente della Madonna dei Sette Dolori.

Bacio a mordersi le labbra, ambedue sudati a leccarsi guancia e bocca e collo, fissandosi, lingua saliva, occhi negli occhi.

Madonna dei Sette Dolori

Sette stiletti sette, conficcati a raggiera nel rosso cuore fiammeggiante, martoriato anche, tante volte non bastassero le sofferenze provocate dagli stiletti, da un cilicio di spine dalle punte sanguinanti.

La mano del ragazzo risale la gamba di lei insinuandosi fra le cosce fino agli slippini di seta, neri come nero è il fazzoletto di tulle fra le dita rosate della madre del Cristo che nell’altra mano mostra un rosario col figlio in croce che se la passa peggio della madre.

La roscia dischiude le labbra, in attesa, ansima, lo cerca con gli occhi, il gioco è finito e glielo comunica con lo sguardo.

Basta, ora lo vuole!

Il manto nero con bordi dorati della Madonna in lutto eterno, ricoperto di banconote consunte appuntate dappertutto e immaginette votive, riflette i colori di un girello che fischia avvitandosi chissà dove.

La svergognata inarca la schiena, pronta a ricevere la foga del suo stallone, lo vuole dentro di sé, ora!

Ex-voto

Una mano tremante poggia un ex-voto ai piedi della statua, una sacra rappresentazione disegnata alla buona, naivetè casareccia, uno scarabocchio su foglio di quaderno a quadretti macchiato di sugo con la ventresca che anche Maria la disapprova, bleah.

Il figlio reclina la testa dall’altra parte della croce, demoralizzato da tanta sciatteria.

Che tempi!

Il soldatino le dà il colpo di grazia, tanto atteso, tanto voluto, «AAH!!!»

Un petardo scoppia sul volto della Madonna illuminandolo per un istante e nel gioco luce ombra un baluginio.

«Miracol’, miracol’…» urla un babbione quarantenne con la faccia da tonto tredicenne.

«Miracol’, miracol’, la Matonn’ ha piant’!».

Gli arriva uno sberlone in testa CIAAF!, Ahi!, da un vecchietto lì accanto che ride a crepapelle.

«Quanto sei scemo, nipote mio, quell’ è lu girello che gli ‘a scoppiat’ ‘n faccia! Ahahah…».

Nell’anfratto fra i covoni i due fanno l’amore, selvaggiamente, impudicamente, ad aggredirsi, con passione senza freni.

Ora è lei a divorarlo.

Ratto di Proserpina

Lui si perde fra le sue braccia e fra le sue cosce belle lisce carnose dove affonda le mani lasciando il segno delle dita come nel burro, come nel ratto di Proserpina il Bernini lasciò le sue nel marmo di Carrara.

La Madonna sotto la veletta non ha più lacrime per quanto ha pianto, del figlio in croce neanche a parlarne, si limita a lanciare di tanto in tanto occhiate al cielo in muti rimproveri.

Il puparo all’interno, tutto sudato, ormai ciucco come un polipo bastonato e ributtato in mare che annaspa senza più orientamento, sorrisino a perdere, sbevazza un’altra sorsata dal fiasco quasi vuoto e sbanda di nuovo paurosamente in un veloce e irrefrenabile abbrivio laterale, come i granchi, in preda ad un singhiozzo devastante.

La folla ondeggia ancora indietreggiando, «Ooooooh…», e aprendosi per dare spazio alla Pupazza impazzita e scoppiettante di petardi che fortunosamente riesce a fermarsi.

Un’ultima girandola a forma quadra, a corona sulla testa della Pupazza, ruota velocemente lapilli di luce argentata tutt’intorno a pioggia come una fontana.

«Oooooooooh…».

Un ultimo girello s’avvita verso il cielo colorandolo tutto.

E colorando anche il soldatino e Maristella che godono senza più ritegno rotolandosi nella paglia avvinghiati in un sol corpo con le belle cosce bianche di lei a tenaglia sui fianchi del giovane puledro in calore con le brache calate, a culo nudo…con il cartoccetto bruciacchiato del girello ormai senza più vita che gli ricasca sulle chiappe.

Gran finale con la Pupazza in fiamme come l’Hindenburg, in mezzo minuto morì un sogno, il vorace falò divora in un attimo lo scheletro dei fantocci polverizzandolo.

Spiriti maligni in fuga con la cenere che si sperde nell’aria.

E la festa è finita.

 

L’ultima lampadina viene spenta.

    E anche le stelle si spengono.

    Silenzio.

    La campagna.

Nel buio

Leggere

Le lucciole

 

 

da “Il paese che non c’era…” di Luciano Odorisio

di prossima pubblicazione

 

 

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