Stralci da un articolo di Franco Monaco su Il FQ, 23-03-19
“Zingaretti merita un’apertura di credito. Egli ha fatto del binomio unità-cambiamento la sua bussola. Non una sintesi facile e scontata.
Spero in un dosaggio che privilegi il cambiamento. Senza discontinuità sarebbe sconfessata la ragione stessa della sua vittoria alle primarie Pd.
Ecco perché mi ha sorpreso il suo cenno, nel segno del rimpianto, alla bocciatura della riforma costituzionale Renzi-Boschi.
Non è il caso qui di tornare sulla disputa di allora, quando, con altri dieci parlamentari Pd, partecipai a viso aperto alla campagna per il no (ancora oggi si addita al pubblico ludibrio chi, in casa Pd, avrebbe segretamente brindato per la bocciatura).
Solo mi permetto di girare al neo segretario Pd cinque rilievi.
1. L’ISPIRAZIONE ipermaggioritaria di quella riforma, con annessa legge elettorale, avrebbe dato un potere esorbitante alla maggioranza politica contingente. Sino a mettere nelle sue mani gli alti organi di garanzia.
Oggi, a fronte di una maggioranza di governo cui si imputano pulsioni illiberali, sarebbe lecito attendersi semmai un ravvedimento.
Lo ha notato con parole lapidarie il presidente della Consulta Lattanzi: “Oggi anche chi propose quelle riforme dovrebbe essere contento della loro bocciatura”.
2. Zingaretti, giustamente, si propone di costruire un campo largo e inclusivo di centrosinistra.
A tal fine certo non giova tornare su quella divisione, quando tanti cittadini-elettori di centro e di sinistra dissentirono dalla riforma.
Salvo sposare la lettura propagandistica di Renzi, concepita per indorare la pillola, secondo la quale l’intero 40% dei sì fosse da intestare al Pd (precipitato al 18% solo un anno dopo).
3. Un po’ tutti, ex post, convengono che a quella sconfitta (che, a ben vedere, segna la fine del corso politico renziano) fosse da ascrivere alla smodata personalizzazione.
Ma il vero e più grave vulnus fu un altro: quello di avere sconfessato il solenne impegno scolpito addirittura nello statuto ideale del Pd all’atto della sua nascita a non fare più, mai e poi mai, riforme costituzionali a colpi di maggioranza contingente.
Quasi una Costituzione del governo! Trattasi della Legge fondamentale, che deve essere concepita e vissuta come Regola largamente condivisa.
4. Il Pd, talvolta con un po’ di arroganza ma non senza qualche ragione, polemizza con l’attuale governo perché esso e i suoi membri trascurerebbero il valore delle competenze (l’uno vale uno ….).
Male non sarebbe che il nuovo Pd di Zingaretti non ricadesse nell’errore di allora, quello di disdegnare e persino di irridere i “professoroni ”.
Che quella fosse una riforma cattiva e insidiosa lo argomentò a voce alta la gran parte della comunità dei costituzionalisti più accreditati (undici presidenti emeriti della Consulta!).
Non guasterebbe un po’più di umiltà, di ascolto, di rispetto per chi ne sa di più per cultura ed esperienza…
5. UN ALTRO BERSAGLIO polemico del Pd di ieri e di oggi è quello degli avversari politici inclini al populismo e alla demagogia. Giusto.
Ma come dimenticare il tenore della campagna referendaria per il sì tutta imperniata sulla riduzione dei costi e il discredito per i politici?
Nei loro libri recenti, sia Gentiloni che Letta lo hanno osservato: non solo non era plausibile che un partito identificato con il governo e con l’establishment in genere facesse goffamente il verso a quegli umori, ma, di più, come si è dimostrato, tale subalternità ha finito per portare acqua al mulino dei suoi avversari.”