estratto articolo di G. De Marchis per La Repubblica, 26-8-19
“Mezza Italia mi ha chiesto di fare questo governo con Conte premier. Ho ascoltato tutti e ho capito che dovevo arrendermi”.
Figuriamoci se un segretario per il quale il bene principale di un partito è l’unità, poteva rimanere sordo al coro quasi unanime: fermare Salvini e il voto anticipato.
“Mi hanno chiamato persino i cantanti, gli attori, gli scrittori. Volevano solo una cosa”.
Niente nomi, ma non è difficile immaginare che il pressing sia arrivato da quel gruppo di artisti che lo aveva sostenuto pubblicamente alle primarie: Monica Guerritore, Fiorella Mannoia, Alessandro Gasmann, Maurizio De Giovanni, Tommaso Paradiso e tanti altri.
Eppoi c’erano le pressioni dei dirigenti del Pd. Dei grandi vecchi come Romano Prodi. Di Walter Veltroni. Di Enrico Letta. Eppoi la voce dei sindacati, da Maurizio Landini ad Anna Maria Furlan.
Si è mossa la Conferenza episcopale italiana, una trincea contro la deriva sovranista. Il leader dem non ha parlato con il presidente della Cei Bassetti, impegnato in una missione nello Sri Lanka, ma con un delegato della presidenza: “Vada avanti, ha anche l’incoraggiamento della segreteria di Stato”, è stato il messaggio. Cioè della Santa sede.
Livelli sempre più alti di persuasori hanno fatto breccia nel muro che Zingaretti aveva alzato all’inizio: no al Conte bis e no al suo ingresso nel governo.
Ma le dichiarazioni del premier da Biarritz hanno cambiato tutto. “Mai più con la Lega”.
Da nuovo leader del Movimento, in sintonia con Beppe Grillo e Davide Casaleggio, Conte ha chiuso il forno che Luigi Di Maio aveva lasciato aperto. (…)