di Wanda Marra per Il FQ, 24-8*19
Giuseppe Conte come premier è un nome irricevibile per il Pd zingarettiano, per rimarcare la “discontinuità”.
Ma il confronto va avanti: dopo l’aperitivo con Luigi Di Maio di ieri sera durato un’ora, Nicola Zingaretti ci tiene a chiarire che la trattativa per il governo Pd-M5s non si è arenata.
E che quello del capo politico dei Cinque Stelle non è stato un vero e proprio ultimatum, piuttosto una mossa doverosa nei confronti dello stesso Conte, ma anche un passo tattico.
Una reazione che dimostra un fatto: Zingaretti si è convinto che il tentativo di un governo con i Cinque Stelle va fatto davvero.
La macchina si è messa in moto e a questo punto il segretario del Pd deve giocarsi la partita in modo che sia chiaro che, se si fa l’esecutivo, l’azionista di riferimento dentro il Pd è lui.
E non Matteo Renzi, tanto per citarne uno a caso. Per questo l’interlocuzione con Luigi Di Maio la porta avanti in prima persona.
Renzi però non si fa da parte: tanto è vero che è lo stesso capo politico M5S a far notare a Zingaretti che per l’ex premier fiorentino il veto su Conte non c’è.
Cosa che i renziani ribadiscono in serata. Questo mentre nelle varie anime del Pd, pur di portare a casa l’accordo, in molti si spingono a prendere in considerazione la possibilità che sia proprio Di Maio il premier. Zingaretti (per ora) stoppa.
Ma a detta anche da uomini a lui vicini non è detto che il punto di caduta non sia proprio quello.
D’ALTRA PARTE, l’incontro tra le delegazioni Pd e M5s è andato bene.
Anche se la risposta politica chiara dal capo politico Cinque Stelle non arriva immediatamente. I capigruppo si limitano a dire: “Siamo qui e non da un’altra parte. Quindi è questa la trattativa che stiamo facendo”. Un ragionamento che ai dem non basta, visto che l’ufficialità richiesta non arriva.
Cosa che desta perplessità maggiori, dopo che il Pd si è presentato all’incontro offrendo al Movimento il “lodo Delrio”, ovvero l’intenzione di tagliare i parlamentari e nel frattempo di fare una legge elettorale proporzionale. Di più.
Delrio ha persino proposto di far firmare un impegno a Zingaretti, con i tempi: il taglio dei parlamentari andrebbe calendarizzato in ottobre, subito dopo il giuramento dell’eventuale governo, previsto per fine settembre. E il “foglietto” sarebbe una garanzia che Di Maio potrebbe esibire in qualsiasi momento di fronte a un eventuale tradimento.
MA A SERA la trattativa entra nel vivo, sul punto dirimente: il nome del premier. Dopo una giornata che per il Pd non è comunque stata facile.
Ci ha pensato Renzi in mattinata a movimentarla: “Se uno, contravvenendo alle regole interne, con uno spinfa saltare tutto non è detto che il Pd arrivi tutto insieme alle elezioni”, sono le parole dell’ex premier in un audio registrato mentre parla alla sua scuola di formazione politica a Barga, in Garfagnana.
Sul banco degli accusati c’è Paolo Gentiloni, che avrebbe provato a far saltare l’intesa Pd-5Stelle con la richiesta di tre condizioni, una “triplice abiura”.
Il caso agita le acque, ma si smonta abbastanza presto: Renzi stesso depotenzia la portata delle proprie parole, facendo filtrare il fatto che l’audio è stato rubato e pure facendo ribadire ai suoi che per l’uscita dal Pd, in caso di voto, non è pronto.
D’altra parte, Zingaretti, che si riunisce al Nazareno con lo stato maggiore del partito, non può permettersi di andare al voto con un’altra scissione.
Quindi definisce quelle di Renzi “accuse ridicole e infondate”, chiede di evitare dichiarazioni che possano complicare la situazione, ma in realtà lavora per ricomporre.
A MEDIARE è lo stesso Delrio, che giovedì invita Zingaretti a correggere il tiro sui tre punti e in questi giorni cerca di ridimensionare il “pericolo” Renzi.
“Matteo non è un problema”, va dicendo a tutti.
Il punto è che per uscire dal Pd l’ex segretario ha bisogno di una legge proporzionale che gli permetta di avere qualche chance di contare con il suo partito: un buon motivo per non far fallire il governo.
Nel frattempo, al Nazareno si continua a parlare di ministeri e di caselle da occupare. Prima di tutto quella del premier. Ufficialmente, nell’incontro di ieri la cosa non entra.
Ma non mancano le battute: “Avete affossato Conte subito dopo il suo discorso contro Salvini”, dicono i capigruppo M5S. “Non è che si può pensare che chi è stato garante dell’alleanza gialloverde lo sia pure di quella giallorossa.
Al limite sarebbe meglio Di Maio”, i ragionamenti che si fanno.
In casa dem, il governo pare una priorità.