Editoriale di Marco Travaglio per Il FQ, 10-05-19
“Per capire l’importanza che in politica, nei momenti più drammatici, hanno i gesti, i segnali e gli esempi, bisogna leggere l’ultimo libro di Antonio Padellaro: Il gesto di Almirante e Berlinguer.
Uno era il segretario del Msi, fascista non pentito, repubblichino di Salò, ex firmatario del Manifesto della razza ed ex collaboratore de La difesa della razza.
L’altro il segretario del Pci, il comunista che aveva già preso le distanze dall’Urss e aperto al compromesso storico con la Dc, ma senza disdegnare i rubli da Mosca.
Due avversari irriducibili, mica due mammolette.
Eppure, dopo il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, fra il 1978 e il ’79, si incontrarono in gran segreto quattro o sei volte per scambiarsi informazioni sugli opposti terrorismi provenienti dai rispettivi “album di famiglia”.
Perché, da politici di opposizione, tenevano allo Stato e lo vedevano vacillare.
Poi, quando Berlinguer morì, Almirante rese omaggio alla camera ardente, alle Botteghe Oscure.
E quando morì Almirante, non potendo Berlinguer restituirgli la visita, l’ultimo saluto glielo diedero Nilde Iotti e Gian Carlo Pajetta.
Oggi ogni paragone con quegli anni sarebbe ridicolo, forse blasfemo: allora c’era la guerra fredda, oggi scoppiano qua e là guerricciole tiepide che ne sono la parodia.
Ma chi ci va di mezzo rischia comunque grosso.
Come la famiglia rom Omerovic, approdata in un alloggio popolare di Casal Bruciato dopo 30 anni di baraccopoli: il padre bancarellaro fuggito dalle guerre di Sarajevo, la moglie conosciuta a Roma e i 12 figli di cui due piccoli rimasti per tre giorni con i genitori sotto l’assedio dei fascisti, gli altri dieci fuggiti dai cugini in un campo rom.
Questa volta, in mancanza di statisti, ha provveduto la sindaca Virginia Raggi a compiere quel “gesto”, insieme di legalità e di umanità.
È stata coraggiosa ad affrontare l’orda di CasaPound che aizzava i residenti.
Così come lo era stata mettendo la faccia in altre circostanze ad alto rischio: la marcia a Ostia contro il clan Spada dopo l’aggressione a un giornalista Rai, le demolizioni delle villette abusive del clan nomade Casamonica e anche l’ultima cerimonia per il 25 Aprile (con fischi ampiamente annunciati).
Anche questa volta non ha badato alle convenienze (i politici, di solito, si tengono lontani dalle contestazioni) né ai timing elettorali (come le ha improvvidamente rinfacciato Di Maio): ha soltanto fatto la cosa giusta.
E ora, dopo tanti fischi, insulti, minacce e maledizioni, quel gesto le viene riconosciuto da molti. Soprattutto dagli avversari politici e mediatici (difficile ormai distinguere gli uni dagli altri).
Quelli che fino all’altro ieri non si limitavano a criticarla per i molti errori, com’è legittimo e doveroso con ogni politico e amministratore.
No, tentavano di dipingerla per il contrario di com’è: una cretina, una corrotta, una messalina e pure una fascista.
Ieri, quando abbiamo letto la sua beatificazione cubitale sulla prima pagina di Repubblica (“Raggi sfida i fascisti, Di Maio l’abbandona”, “E Virginia scoprì una forza da sindaca”), abbiamo subito pensato al disorientamento dei lettori, abituati da tre anni a considerarla una cretina, una corrotta, una messalina e pure una fascista.
Anche dopo la sua assoluzione nell’ultima inchiesta sopravvissuta alle tante aperte dalla Procura di Roma (senza contare le 600 denunce ed esposti subìti).
Era il 10 novembre scorso e il Tribunale stabilì che non reggeva neppure l’accusa di falso, cioè di aver mentito all’Anticorruzione per coprire favoritismi ai fratelli Marra.
L’indomani Repubblica, schiumante di rabbia per l’ultima occasione sfumata, riuscì a titolare: “Il fatto c’è ma non è reato”.
L’allora direttore Mario Calabresi, confondendo la prescrizione di Andreotti per mafia con l’assoluzione piena della Raggi per una frase su una nomina, riuscì a scrivere: “La cosa che più colpisce… è l’idea delirante che l’assoluzione della Raggi sia una sconfitta dei suoi critici. Forse l’assoluzione di Andreotti significava che i giornalisti che per anni avevano sostenuto che la Dc fosse collusa con la mafia erano venduti e puttane?”.
Francesco Merlo commentò con la consueta sapienza giuridica: “Quella bugia di Virginia salvata dalla condanna ma non dall’incompetenza”, “la sua bugia è stata un’astuzia politica, una bugia per difendere se stessa e dunque non punibile… Una bugiarda… una tontolona… la sindaca puppet”.
Ora, dalle motivazioni, si apprende quel che si era sempre saputo: e cioè che la Raggi, nel concorso per far ruotare 120 dirigenti, ignorava quel che i due Marra dicevano alle sue spalle negli uffici e nelle chat, non aveva alcuna ragione per favorirli né alcun movente per mentire, con o senza dolo; infatti scrisse semplicemente, con linguaggio da avvocato, ciò che le risultava in quel momento.
Ora che la bugiarda-tontolona-puppet “sfida i fascisti”, compie “un gesto degno della fascia tricolore che indossa, un atto coraggioso, finalmente all’altezza della carica che ricopre” e “persino chi l’ha sempre criticata loda il coraggio civile di Virginia Raggi”, la sua “decisione limpida e giusta, di sicuro quella meno facile” (sempre Re – pubblica), vien da domandarsi se esistano due Raggi.
O se la Raggi abbia diritto ad avere ragione solo quando Di Maio le dà torto.
Così come in passato i suoi collaboratori o assessori Raineri, Minenna, Muraro, Berdini, Mazzillo e Montanari erano dei putribondi figuri da massacrare finché lavoravano con lei, salvo poi trasformarsi in santi subito e insigni scienziati da intervistare a ogni pie’ sospinto appena lasciavano il Campidoglio.
Si dirà: in tre anni, anche una bugiarda-tontolona-puppet può azzeccarne una, magari per sbaglio. Vero.
Ciò che è proprio impossibile è che una fascista, un’infiltrata dello studio Previti, un’emissaria della peggior destraccia romana, possa improvvisamente “sfidare i fascisti”con le nude mani.
Eppure si è scritto pure quello, anche a dispetto dei video di lei che canta Bella ciao con i partigiani dell’Anpi in Campidoglio.
E della sua giunta, un mix di 5Stelle e di indipendenti di sinistra (dal vicesindaco Bergamo all’assessore Montuori, oltre agli “ex” Montanari e Berdini).
Due anni fa, sempre da Repubblica, apprendemmo che la sindaca aveva consegnato i rifiuti di Roma al ricostituito partito fascista tramite la Muraro,“che dichiara pubblicamente di aver votato a sinistra, ma i cui legami e incroci con la destra romana appaiono sempre di più saldi come la gomena di una nave”: più che un’assessora, “la cruna dell’ago attraverso cui un sistema di relazioni e interessi nato, cresciuto e battezzato dalla destra post-fascista romana, ha rimesso le mani su Ama”.
Motivo: “nello staff della Muraro lavora, quale dipendente comunale distaccata, Maria Paola Di Pisa, educatrice di asili nido, e già precedentemente ‘in distacco’nello staff dell’allora sindaco Alemanno”.
Cos’avrà mai che non va questa Maria Paola?
“La sorella più giovane, Serena, come lei già attivista di destra, cresciuta nel quartiere ‘nero’Trieste, già militante di Terza Posizione”, ha “un ex compagno”che stava nei Nar. E pure una figlia “non riconosciuta”, “Elena, ingegnere ambientale”, che la Muraro, quand’era consulente Ama, tentò di prendere come esperta addirittura in materia ambientale, ma non ci riuscì.
Capito, la fascistona?
E le polizze vita di Salvatore Romeo? Come dimenticarle?
Mentre persino la Procura diceva subito che non erano reato né per lui né per la Raggi, che ignorava la presenza del suo nome tra i beneficiari in caso di morte del suo capo-segreteria, Repubblica spiegava che “quelle polizze potrebbero avere un’origine politica… una ‘fiche ’ puntata su una delle anime del M5S romano, quella ‘nero fumo’ ”: anche Romeo, “peraltro nato a sinistra”, era certamente un “figuro”e pure “di destra”.
La prova? Aveva confessato addirittura di aver “incontrato una volta Alemanno”. E il fatto che un funzionario comunale incontrasse il suo sindaco è più che un indizio: è una prova.
Un giorno, poi, la Raggi scese in piazza a solidarizzare con i tassisti e gli ambulanti inferociti per il furtivo emendamento ultra-liberista della Lanzillotta che li avrebbe rovinati.
La norma fu contestata anche a sinistra, da Fassina a Emiliano.
Ma L’Unitàtitolò : “Raggista con i fascio-taxi”, tutti “saluti romani e violenza”.
E il Manifesto: “Raggi guida a destra”.
Ora anche il Manifesto si rassegna: “Raggi rompe l’assedio razzista ai rom”.
Che sia impazzita?
L’unica alternativa è che siano pazzi tutti gli altri.