di Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2019
Ieri i giornali erano troppo impegnati a magnificare il ridicolo discorso di Renzi in Senato per accorgersi della notizia di Salvini indagato per uso privato di 35 voli di Stato in poco più di un anno.
Notizia che, non riguardando Di Maio o un suo cugino, né la Raggi o una sua prozia, non merita titoli in prima pagina.
Il meglio lo danno La Stampa, che dedica all’ex vice-premier inquisito per abuso d’ufficio ben 8 righe a pagina 9;
e il Messaggero, con un trafiletto invisibile a pagina 11 dal titolo in codice criptato: “Verifiche su 35 voli ‘blu’. Salvini: non era vacanza”.
Quando non c’è di mezzo un 5Stelle, per Caltanews le inchieste giudiziarie si chiamano“ verifiche” e la notizia è il parere di Salvini su un’indagine ignota ai lettori.
Per trovare il titolo sulla prima di Repubblica, ci vuole il microscopio elettronico, ed è strano perché proprio da uno scoop di quel giornale nacque l’indagine. Fortuna che ci sono i giornali di destra, che sparano la notizia in prima pagina, ovvia- mente per strillare al complotto.
Il Riformatorio, innocentista a prescindere anche sul mostro di Milwaukee, dice di averlo detto in anticipo “che i pm erano pronti a sferrare l’attacco finale nei confronti della Lega e del suo leader”.
Il Giornale tiene fede al- la tradizione: “Voli di Stato, indagano solo Salvini” (seguono i nomi di altri ministri del centro- sinistra che Sallusti gradirebbe indagati). Ma nulla può di fronte alla grandezza d i Libero: “ Indagano Salvini perché lavora troppo”.
Quando si attiva la premiata ditta Feltri&Senaldi, non ce n’è per nessuno.
Per il resto, paginate e umidi commenti sull’altro Matteo, che in Senato getta il cuore oltre l’ostacolo e sfida “il populismo giudiziario” (Carlo Nordio, pm fortunatamente in pensione, sul Messaggero).
“Ha l’indiscutibile merito di aver messi sul tavolo con precisione quasi chirurgica (sic, ndr) la questione su cui si gioca da quasi mezzo secolo l’onore della politica… Difficile dargli torto quando avverte i senatori che ‘se viene criminalizzato il finanziamento privato, nessuno finanzierà più la politica’” ( Sebastiano Messina, Repubblica).
Scaglia un sacrosanto “vaffa alla teocrazia giudiziaria” con un “j’accuse da applausi” (rag. Cerasa, il Foglio).
“Rivendica la separazione dei poteri, architrave della civiltà giuridica e politica delle democrazie liberali… addita violazioni o forzature di legge della magistratura su cui si tace sempre, anche noi dei giornali, talvolta correi, spesso volenterosi carnefici per eroismo a buon mercato… un discorso come non se ne sentivano da un po’”, cioè dai bei tempi del pregiudicato latitante, “e su queste basi di civiltà si sta con Renzi” (Mattia Feltri, La Stampa).
Ci regala “la tardiva riabilitazione di una politica demonizzata” (Marcello Sorgi, La Stampa).
Seguono sapide interviste ai figli d’arte dello spirito guida, Bobo e Stefania Craxi, che dispensano giudizi morali dall’alto di cotante cattedre.
E alla Bonino che, avendo patrocinato con Pannella una dozzina di referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti (ma non a Radio Radicale), viene a raccontarci che “la buona politica costa”.
Su Twitter, è tutto un leccalecca di penne in visibilio.
Francesco Cundari: “Renzi ha completamente ragione”.
Christian Rocca: “Il gran discorso di Renzi in difesa della politica”.
È un grande ex presidente, un apostolo, un santo! Interessante la tesi di Gaia Tortora: “Togliete Renzi e ascoltate il suo discorso. Assolutamente condivisibile. Ma dirlo o ammetterlo in questo Paese è un problema. Solo che il problema riguarda tutti. Anche quelli che non si chiamano Renzi”.
E di Giancarlo Loquenzi: “Vale la pena ascoltarlo, potete pensarne quello che volete, ma ci riguarda tutti”.
In effetti, piacerebbe a tutti noi fare una fondazione e incassare 6-7milioni in quattro anni. E ancor di più nominare a Cassa Depositi e Prestiti un amico imprenditore e poi compararci una villa grazie alla su’ mamma che ci presta 700 mila euro sull’unghia.
Un affarone.
Che però, per quanti sforzi facciamo, stentiamo a comprendere che diavolo c’entri con la “politica”, la “privacy”, la “democrazia liberale” e la “civiltà giuridica”.
Se questi trombettieri leggessero i giornali (almeno i loro), scoprirebbero le e-mail che il presidente di Open, Alberto Bianchi, inviava al premier Renzi e al suo staff legislativo per raccomandare leggine ed emendamenti in favore di imprenditori che, guardacaso, ingaggiavano Bianchi e/o finanziavano la fondazione renziana.
Naturalmente è possibile che i pm di Firenze e la Guardia di Finanza, nell’ambito del noto complotto ordito per impedire a Italia Viva di passare dal 3 al 4%, abbiano fabbricato a tavolino quelle e-mail.
Ma, nella remota eventualità che queste fossero autentiche, dimostre- rebbero un fatto piuttosto pesantuccio: i renziani si vendevano leggi al migliore offerente, à la carte, violando non solo svariati articoli del Codice penale, ma anche la Costituzione, che impone assoluta “imparzialità” ai legislatori e a tutti i pubblici amministratori, nonchè “disciplina e onore” a chiunque rivesta pubbliche funzioni.
La migliore risposta alla domanda che Renzi e i suoi discepoli ripetono a reti, edicole e Camere unificate: perché i pm di Firenze indagano su Open e perquisiscono finanziati e finanziatori?
Le leggi sono “provvedimenti generali e astratti” nell’interesse di tutti i cittadini, non di questo o quel privato che mette mano al portafogli.
Altrimenti i contributi, iscritti a bilancio od occulti, si chiamano tangenti.
E nessuno dovrebbe saperlo meglio di Renzi, che nel 2012 twittava “Io sono per abolizione finanziamento pubblico a partito e giornali e per mostrare conti correnti e proprietà dei politici” e nel 2013 accusava il governo Letta di “fare marchette e mance”.
Ma forse era solo geloso e non vedeva l’ora di farle lui.